Curiosità: ravioli cinesi, vino e…grappa

Avete presenti i ravioli cinesi? Ecco, dimenticate quello che conoscete in materia per scoprire la realtà di Bao Bao Dumpling, locale aperto da Jie Jin a Roma in Via dei Gracchi con lo scopo di promuovere, come dice il proprietario, i veri ravioli cinesi.

Jie Jin, quarant’anni, è nato in Cina ma si è trasferito nella capitale quando ne aveva nove (nel 1986, suo padre aprì “Aroma di Pechino”, il primo ristorante orientale capitolino) acquisendo non solo l’accento della città eterna ma anche l’amore per le materie prime usate in cucina dagli italiani.

Sono cresciuto in una famiglia di ristoratori – spiega Jie Jine ho già aperto quattro locali. Da qualche anno, però, desideravo fare qualcosa di davvero caratteristico, tradizionale che rompesse con la leggenda della cucina cinese di bassa qualità e di materie prime scadenti. Così, dopo l’incontro con il mio Maestro, lo chef Ai, ho deciso di aprire non un ristorante di alto livello ma una ravioleria, puntando su un prodotto conosciuto, accettato e apprezzato da tutti.”

Nella capitale, le “raviolerie” sono spuntate come i funghi, in cosa si differenzierebbe la tua?
Per prima cosa, ho scelto di fondere tecniche cinesi con il meglio che offre l’Italia a livello di prodotti.

Fermiamoci un attimo alle tecniche. In Cina avete altri metodi, oltre al vapore o la griglia per cucinare i ravioli?
È proprio questo il punto. Da noi esistono tre tipologie di cottura: al vapore e alla griglia, tipiche dei ristoranti, e al bollore.

Ossia?
Gettiamo i ravioli in acqua a bollire come si farebbe in Italia con i tortellini. Questa cucina è casalinga ma distruttiva.

Perché?
Su dieci ravioli gettati in acqua è matematico che almeno due/tre si aprano, diventando inutilizzabili. È un prodotto artigianale, non perfetto, un cedimento è normale. In Italia, le porzioni sono solitamente di quattro pezzi, immagina cosa accadrebbe se si bollissero i ravioli, quanto tempo si rischierebbe di perdere per fare una porzione. La cucina al vapore è conservativa e offre maggiori garanzie.

In Cina, come fate?
Al ristorante compriamo i ravioli al kg, non al pezzo. Sono circa dodici pezzi, quindi ne metti qualcuno in più a cucinare e il gioco è fatto.

Come prepari i tuoi ravioli?
Per quanto riguarda la pasta, uso farina doppio zero di grano tenero, impastata per ore, al fine di darle consistenza, e poi passata nella sfogliatrice per fare uscire tutta l’aria. In questo modo si ottiene un prodotto consistente che non si rompe con facilità. Per il ripieno, invece, uso carne italiana e verdure cinesi, ad eccezione delle nostre cipolline che hanno un sapore molto pungente e che utilizzo per un raviolo speciale destinato esclusivamente al periodo del capodanno cinese.

Parliamo di abbinamenti col vino. Cosa consigli?
Un buon rosso non particolarmente strutturato va bene per la maggior parte dei ravioli. Qualcosa di più importante lo azzarderei per il nostro raviolo a forma di panino che, tra i vari ingredienti, contiene un brodo di pollo cucinato per dodici ore, abbattuto e trasformato in gelatina. Con un raviolo a base di farina di riso, gamberi e bambù sarebbe perfetto un bianco profumato, un aromatico ma non disdegnerei un sakè o una grappa cinese…

Grappa?
Certo, grappa. In Italia c’è la convenzione dell’antipasto e il raviolo è considerato tale. Da noi è un primo – o un piatto unico – accompagnato da verdure sotto sale o aceto e lo abbiniamo alle nostre grappe, distillati che non hanno niente a che vedere con prodotti commerciali, di bassa qualità, spacciati per cinesi.

Paese che vai, usanza che trovi. E noi andremo a trovare Jie Jin per provare qualche abbinamento.

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