OSS.UIV-Vinitaly: mercato Usa tra gioie e dolori

L’inflazione galoppa anche negli Stati Uniti (+7,9%, al livello più alto da 40 anni) e il vino italiano rischia di fermare la propria corsa nel primo mercato al mondo. È quanto previsto dagli operatori del mercato enologico statunitense intervistati nell’indagine Iwsr/Wine intelligence presentata oggi dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly nel corso della giornata di apertura del Salone internazionale dei vini.

Secondo il trade statunitense, la congiuntura produrrà danni importanti alle importazioni di vino: il 38% prevede un decremento generalizzato dei volumi in entrata, mentre il 37% pensa a uno stop al processo di premiumizzazione, e quindi anche alla domanda di prodotto tricolore di qualità che ha fatto la fortuna del Belpaese (2,26 miliardi di dollari l’import Usa del 2021). Solo 1 intervistato su 4 non immagina alcun impatto dall’escalation dei prezzi. Altro campanello di allarme arriva dalla migrazione verso altre bevande da parte dei consumatori giovani, in particolare dai maggiorenni della Generazione Z e dai Millennials.

Secondo l’Osservatorio Unione italiana vini e Vinitaly, l’88% dei rispondenti prevede infatti una possibile riduzione dei consumi tradizionali di #vino delle fasce interessate. Tra i drink sostitutivi, in testa appaiati con il 60%, i Ready to drink (bevande pronte al consumo soprattutto a base di vodka o rum), i cocktail, i vini a basso contenuto di alcol e gli hard seltzer (drink frizzanti lievemente alcolici e aromatizzati), mentre la birra è ferma al 40% delle opzioni. Tra le motivazioni che spingono i giovani a consumare il vino, al primo posto il lifestyle, seguito dal benessere. Il vino come simbolo identitario, quindi, che a giudizio del mercato sarebbe apprezzato molto di più se accompagnato dal marchio di sostenibilità.

L’attuale percezione da parte dei professionisti del settore è sicuramente condizionata da una congiuntura che non aiuta – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovania prescindere da questo il vino italiano, i suoi produttori e i suoi strumenti di promozione e marketing hanno il dovere di prevedere le mosse di un mercato che si preannuncia sempre più fluido. E agire di conseguenza.

Come per l’evoluzione delle importazioni mondiali, anche per gli Usa la ripresa dalla crisi pandemica è stata sin qui più vigorosa e immediata rispetto all’uscita dalla crisi dei subprime: due anni buoni per ritornare ai valori pre-bolla, con innesco del fenomeno conosciuto come “premiumization”. E l’Italia, lo dicono anche le elaborazioni dall’Osservatorio su base Nielsen presentati nel focus sul mercato d’Oltreoceano, ha giocato un ruolo da attrice protagonista. A fine 2021 le vendite nel canale off-premise (grocery store, liquor shop) sono lievitate a valore del 23% rispetto al 2019 per un totale di circa 2 miliardi di dollari. Nel dettaglio, le performance italiane nel biennio sono di crescita sia sul lato vini fermi (+18%, con +24% per i rossi), sia, e in maniera strabordante, sul lato spumante (32%), con il solo Prosecco attestato a valore a +44% e l’Asti a +16%.

Tra i prodotti bandiera, oltre al Prosecco (22% del totale mercato sparkling, con 520 milioni di dollari), il Chianti-Chianti Classico (115 milioni di dollari) rappresenta mediamente il 16% delle vendite di vini rossi italiani, con punte del 30% a New York, mentre il valore generato dal Pinot grigio (554 milioni di dollari) lo rende quasi monopolista ovunque, con il totale sulle vendite italiane di vini bianchi al 77% e punte superiori all’80% in Florida e New York. La torta italiana del mercatooff premise è composta a valore per il 27% da Pinot grigio, il 25% da Prosecco, il 34% da rossi, in particolare toscani e piemontesi.

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