Roccasanta, vino e inclusività in Alta Langa

L’Azienda Agricola Roccasanta non è solo una giovane e interessante realtà delle Langhe ma anche un avamposto dell’inclusività. Pietro Monti, il titolare, dopo aver perso la vista in un incidente è ripartito da zero, dando l’esempio a tanti di come si possa continuare a lavorare nel settore e ha ideato un’etichetta in braille, per dare modo ai non vedenti di leggere il nome dell’azienda sulle bottiglie. Nel buio ci sarà sempre chi accende una luce.

La cantina, i vini e l’etichetta nel racconto di Pietro Monti.

PIETRO MONTI

Ci racconta la sua azienda?
La cantina non ha una storia di generazioni come altre, è nata recentemente dietro mia spinta. Nel 1995, per le vacanze estive i miei genitori avevano comprato una casa a Perletto, in provincia di Cuneo, con annessa una piccola vigna; la mia passione è nata in quegli anni, prima mi sono iscritto ad Agraria al Liceo e poi a Viticultura ed Enologia all’Università. Così, la casa è cambiata, le vigne sono state implementate e nel 2006 è nata l’Azienda Agricola Roccasanta.

C’è stata anche un’influenza familiare in questo cammino?
Mio padre e mia madre apprezzavano il vino. Papà è originario di Como e aveva uno zio sul lago che lo produceva; da lì è nata la sua passione per le operazioni di cantina, molto diverse da quelle odierne. Io trovandomi in Piemonte, oltre a questa attitudine familiare, sono stato condizionato dall’ambiente, il paesaggio, le viti, il lavoro a contatto con l’uva e la stagionalità delle cose, un insieme di realtà che mi hanno appassionato.

Parliamo del terroir.
Siamo all’interno delle Langhe, in Alta Langa per la precisione, una distinzione necessaria. È un’area collinare con pendenze importanti e muretti a secco, un’opera ingegneristica pazzesca che consente di avere un territorio pianeggiante dove coltivare le uve e che permette al terreno di smaltire le acque in eccesso senza creare una loro pericolosa concentrazione in caso di pioggia, fondamentale considerando i cambiamenti climatici. È pietra su pietra, niente cemento. Servono artigiani per costruirli e mantenerli. Il territorio è ricco di varietà vegetali, viti, nocciole, bosco e zone coltivate. Le mie vigne sono circondate da un bosco, non ho vicini di vigna. È una tipologia diversa di natura, rispettata, dove l’intrusione dell’uomo è minima.”

Dalla terra al prodotto, arriviamo ai vini…
La nostra punta di diamante è l’Alta Langa Docg Metodo Classico, ottenuta da uve pinot nero (coltivate fra i 300 e i 400 metri), 30 mesi di affinamento sui lieviti. È un vino importante, una denominazione stringente relativamente nuova, molto richiesta anche dai mercati esteri. Per noi piccoli produttori da 25 a 30mila bottiglie l’anno, questo fatto è strategico, funziona e aiuta la penetrazione. Inoltre, usiamo solo nostre uve e siamo associati alla FIVI: crediamo nella coltivazione delle nostre viti senza trattamenti eccessivi e invasivi: lavorare a km zero senza conferimenti. Gli spazi ravvicinati di una realtà come la nostra fanno in modo che, sotto vendemmia, le uve non prendano caldo, fondamentale per bianchi e metodo classico.

Gli altri quali sono?
Aldace, nome di fantasia per uno Chardonnay blanc de blancs, 12 mesi di affinamento. Poi c’è il Langhe Doc Chardonnay che fa acciaio, fresco e fruttato, l’E…Brezza, un prodotto estivo, blend chardonnay/sauvignon perfetto come aperitivo. Presentiamo i rossi: Langhe Doc Dolcetto, vino fresco senza eccessiva struttura facile da bere, da tutto pasto; rispecchia la sua natura, lavoriamo perché mantenga i profumi primari tipici del vitigno. Poi la Barbera d’Alba base in acciaio classica e quella superiore che fa un anno in tonneaux da 500 litri – garantiscono micro ossigenazione e struttura – e poi altrettanto tempo in bottiglia. Amo il legno ma solo se usato correttamente senza eccessi. La tipicità del vino non va stravolta con sensazioni vanigliate eccessive. Altro esempio di questo discorso è il Langhe Doc Nebbiolo: il prinicipe dei vitigni trascorre un anno in barrique e poi 6 mesi in bottiglia. Beverino, morbido, elegante e vellutato, i tannini sono accennati.

C’è anche un vitigno internazionale tra i rossi.
Il Langhe doc Merlot Cornelia che prende il nome da mia nonna. Uve leggermente sovramature, grande macerazione, due anni in legno e uno in bottiglia sono alla base di questo vino. Non è un prodotto tipico della nostra zona ed esce solo in determinate annate, le migliori: così valorizziamo il prodotto e il nome di nonna.

Attenzione ai vitigni autoctoni, rispetto della natura. E in cantina?
Tutte le operazioni di produzioni vengono svolte da noi. Siamo attrezzati con tutte le strutture necessarie, imbottigliamento compreso. La cosa più significativa è che abbiamo eliminato i detergenti chimici: acciaio e legno sono puliti col vapore, praticamente sterilizzati. Così c’è un grande risparmio idrico (ora consumiamo meno della metà di acqua) e la sanificazione è ad alto livello, nessun rischio di contaminazione: quando risciacqui i prodotti chimici rimangono tracce o residui. Una grande miglioria che dimostra attenzione all’ambiente.

Veniamo agli affari. Quali sono i canali prediletti di Roccasanta?
Il mercato italiano è predominante. La cantina è partita quando frequentavo università. Nel 2011, ho perso la vista in seguito a un incidente e questo stravolgimento della mia vita ha comportato dei rallentamenti, relazioni commerciali comprese. Danimarca, Olanda, Belgio e Canada sono stati i nostri primi contatti, poi è arrivata la pandemia che ha fermato la nostra espansione fuori dai confini. In Italia puntiamo ai privati e all’Ho.Re.Ca., niente grande distribuzione, lontana da noi per volumi e concezione.

Come è nata l’idea dell’etichetta in braille?
Dopo l’incidente avevo voglia di comunicare quanto accaduto, trasferirlo nel vino. Se il mio vino è buono devono sapere che lo produce un cieco. Volevo trasmettere la consapevolezza che un non vedente può gestire una cantina, che non passa la giornata sul divano attendendo la sera. Con Francesca Di Giusto, enologa e mio braccio destro, abbiamo avuto l’idea di provare delle etichette braille e con una grafica abbiamo trovato il modo per scrivere il nome della cantina con i caratteri per i non vedenti. Abbiamo comunicato qualcosa di personale, nessuno o forse pochi avevano cercato di usare questo linguaggio per il vino.

Altre considerazioni su questa situazione?
La legge dice che sull’etichetta non posso ripetere la denominazione del vino, ma questo discorso va affrontato in sedi opportune: una parola tradotta in braille non è una ripetizione in italiano, sono due lingue diverse con due destinazioni e utenti diversi: tattile e visiva. Bisogna lavorare all’interpretazione di questa norma: io, da piccolo produttore ed enologo, trovo difficoltà a navigare in questo mare agitato di codicilli. Inoltre sarebbe giusto aggiungere almeno il nome della doc in braille, informazione fondamentale per un consumatore e in linea con i discorsi di tracciabilità dei prodotti. Le nostre bottiglie hanno anche un QR Code ma al tatto si fa prima, è immediato.

Un messaggio per avvicinare i ragazzi non vedenti a questo mondo, fargli capire che non è loro interdetto.
Avvicinatevi, visitate le cantine, toccate con mano, respirate i sentori, parlate coi produttori. Poi, degustate con persone competenti per incrementare i sensi, abituarli a riconoscere determinati profumi. Non vediamo il colore che è importante ma l’olfatto dice tanto. Per me in cantina ci sono dei problemi ma ci si può fare aiutare per superarli; serve un assistente ma si può lavorare tranquillamente in un’azienda vinicola. Non trovo particolari problemi, quelli che invece hanno le persone a relazionarsi con un disabile. Si parla di inclusività ma siamo in un mondo chiuso e ristretto: molti pronunciano quella parola per avere la coscienza pulita. Guardate la burocrazia che non aiuta un cieco. Ci sono tante cose che mi spetterebbero ma se manca il carattere braille nei testi non ho autorizzazioni. Una volta mi rifiutarono un patentino perché mancava il testo in braille, risposi che anche sugli F24 manca, ma sono obbligato a pagare lo stesso le tasse. Da enologo ho più competenza su certi argomenti di chi li studia quattro ore e ottiene una certificazione. Ci chiedono un assistente anche quando non ce ne sarebbe bisogno. Il cambiamento? Dipende dalle persone e parte dai bambini nelle scuole. Comportatevi normalmente con un disabile, dovete comprenderlo, non compiangerlo.

Domanda di rito: progetti per il futuro.
A maggio arriverà l’Alta Langa Docg Riserva 60 mesi. Poi puntiamo ad aumentare la produzione, fatto che potrebbe comportare un allargamento dei nostri spazi, e a ingrandirci all’estero.  C’è anche una novità per le etichette, ma non vi anticipo niente.

Vorrà dire che indagheremo.

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