Calcio e vino, gli amori di Gianni Mura

Un anno (e un giorno) fa ci lasciava Gianni Mura, storica firma del giornalismo sportivo italiano. Per me, è stata una firma senza un volto fino a quando, a metà degli anni Novanta, lo vidi al “Processo del Lunedì”. Era la prima edizione senza Aldo Biscardi, che era emigrato verso altri lidi, lasciando vuoto il suo spazio, riempito con simpatia da Gigi Garanzini che scelse di anticipare la trasmissione dal lunedì alla mezzanotte della domenica, trasformando lo studio in un ambiente conviviale dove si discuteva pacatamente di calcio.

Non seguivo spesso i contenitori calcistici ma quel “Processo” mi piacque subito, forse perché rimasi ipnotizzato da Gianni Mura che parlava di Barolo. Un ricordo destinato a durare proprio come il grande vino rosso piemontese.

Così, scoprii che il giornalista milanese era appassionato di vino e gastronomia e, scavando tra gli articoli, ho trovato diverse sue perle sull’argomento.

Quando si parlò dell’introduzione del palloncino per controllare la guida in stato di ebbrezza, commentò a modo suo la misura, proponendo un “pastasciuttometro” (“perché l’abbiocco da rigatoni può allentare i riflessi“) e mise in guardia da piatti come le penne alla vodka (“anche se chi le prepara e chi le ordina meritano il peggio”), il brasato al Barolo, le crèpes flambées: “niente niente facessero scattare la percentuale d’alcol.

Parlando di Luigi Veronelli e delle degustazioni che organizzava a casa sua, definì l’abitazione del gastronomo come una “bottega di Giotto” e ricordò di aver ereditato dall’amico la divisione dei vini non in buoni e cattivi ma in quelli che danno gioia oppure no: “Lo trovo giusto perché puoi avere un vino perfettissimo e premiatissimo che non ti regala molte emozioni ma puoi averne un altro con qualche difetto che in qualche modo ti riempie, ti illumina, ti comunica qualcosa.

Infine, tornando alle commistioni fra vino e calcio, dopo la semifinale Italia-Germania dei Mondiali 2006, celebrò gli Azzurri associando ad ognuno un colore e un vino. Accostò Marco Materazzi al Nero d’Avola con queste parole “Anche qui ha inciso l’assonanza. È un vino di carattere deciso che ha rilanciato le quotazioni della Sicilia in bottiglia. Se non ci stai molto attento, ti stende. Come Materazzi, appunto.” Tutto vero fino alla testata di Zidane, ma i rossi francesi sono un’altra storia…

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