La filosofia green di Col di Corte

Cantina e non azienda. Vino e non prodotto. Produciamo vino con l’intenzione di offrire un alimento – non un prodotto – che sia sano, piacevole e di buona bevibilità.

Ti accoglie così il sito di Col di Corte, azienda, pardon cantina marchigiana, che si trova nella Contrada San Pietro ad appena 20 km da Jesi, terra del Verdicchio.

Due righe che dicono tutto, la sintesi di una filosofia green voluta fortemente da Giacomo Rossi ,titolare di Col di Corte: “Fin dall’inizio, dieci anni fa, l’obiettivo era fare vini corrispondenti alle loro qualità organolettiche e rispettosi di quanto accadeva in vigna, di cosa ci portava il clima, senza interventi di tecnica enologica.

Così, il passaggio al biologico è stato rapido, naturale appunto: “La conversione è stata praticamente immediata. Del biologico si raccontano tante cose, storie spesso inesatte. Esiste un disciplinare certificato, modificato a livello europeo tra il 2011 e 2012. Qualcuno dice che strizzi l’occhio all’industria e, forse, in parte è vero ma l’agricoltura bio usa comunque molte meno sostanze chimiche rispetto a quella tradizionale. Oltretutto, le cantine che producono vino biologico vengono sottoposte a controlli approfonditi.

Uno degli argomenti più “scottanti” è quello dei solfiti: “Quello della anidride solforosa è un tema che non è chiaro per tutti. Partiamo dalle quantità: un vino (bianco) convenzionale normalmente ha un limite di 210 mg/L, uno bio al massimo 150, mentre noi siamo riusciti a mantenerci in una forbice tra i 50 e 70 e abbiamo anche delle etichette che non hanno solfiti aggiunti. Considerate che le analisi di laboratorio possono avere scarti significativi ma, mediamente, i valori sono quelli. L’anidride solforosa si può sviluppare spontaneamente durante la fermentazione ma è cosa diversa da quella aggiunta.” “In ogni caso – continua Rossi – il nocciolo della questione non sono solo i solfiti ma tutto quanto non conosciamo che viene messo nel vino. In etichetta ci sono poche indicazioni rispetto al lungo elenco di sostanze utilizzate durante la vinificazione e che la gente nemmeno immagina.

Giacomo non fa la predica agli altri produttori, racconta il percorso di vino che ha trasformato la sua azienda prima da tradizionale e a bio e, da alcuni anni, a biodinamica: “Abbiamo aperto questa via nel 2014 grazie a  Nicolà Joly e al compianto Stefano Bellotti. Ho sempre creduto in un’agricoltura sostenibile e poco invasiva. La biodinamica è stata un passaggio obbligato. Se dovessi spiegarla, la paragonerei all’omeopatia. In vigna, tolto quanto richiesto dalla legge, è tutto naturale, usiamo addirittura gli infusi per gli apparati fogliari. A livello enologico, non esiste una codificazione delle regola da seguire.

Veniamo così a un altro punto contestato ai vini bio e biodinamici: che sapore hanno?
“Vuole sapere se il gusto cambia? – chiede Giacomo – Le rispondo sì e no. Molti vini vengono “creati in laboratorio”, quando li assaggi il loro sapore è condizionato dall’utilizzo di lieviti aromatici durante la fermentazione o altri procedimenti che servono a renderli omogenei alla richiesta di mercato. Facciamo l’esempio del Verdicchio. È riconoscibile per la sua nota amaricante – anche se questo discorso non vale per tutti i vini prodotti con queste uve – una caratteristica che, in passato, molti produttori cercavano di nascondere per rispondere alle richieste dei consumatori. Io sono dell’idea che alcune cose si possano fare, altre no. Pensi al Verdicchio dolce: con un’agricoltura biologica non potrei mai fare l’appassimento in pianta, così produco solo quello secco.

Lasciamo al consumatore decidere come siano i vini biologici e biodinamici e concentriamoci su un altro aspetto: l’agricoltura di Col di Corte punta sulle qualità del terroir. “I nostri vigneti – sottolinea Rossi – sono esposti a nord-est e sud-est. Le condizioni climatiche influenzano la maturazione, quelle della terra le caratteristiche organolettiche. Noi cerchiamo di rimanere fedeli a quello che ci offre Madre Natura, senza usare accorgimenti.

Un segnale in questo senso arriva dalle etichette della cantina dove compaiono alcuni simboli meteorologici che indicano l’andamento  climatico dell’annata di imbottigliamento: “ È un modo per raccontare il nostro vino. Nel 2017, ad esempio c’erano tanti soli. Fu un’annata difficile, arida. Per fortuna la nostra zona è percorsa da falde acquifere che, nonostante la produzione comunque ridotta, ci hanno permesso di fare bianchi di qualità (le uve chiare soffrono il calore) e di produrre ottimi rossi che, invece, beneficiano delle annate calde.

Ogni anno, dunque, il risultato non è garantito che sia uguale o simile a quello della stagione precedente e, anche in fase di affinamento, non vengono fatti sconti: la cantina rimane fedele alla sua filosofia. Il legno, ad esempio, viene utilizzato come vaso vinario, le botti dove maturano i vini sono “scariche” per evitare che il prodotto subisca cambiamenti non desiderati.

Ad alcuni la parola biodinamico fa sorridere, altri la vedono come sinonimo di bottiglie costose ma pochi sanno di cosa si tratti davvero. Considerando che le domande di vino a Col di Corte arrivano specialmente dall’estero, destinazione del 70% della produzione (circa 40.000 bottiglie l’anno), l’impressione è che la coscienza green degli italiani stia crescendo ma sia ancora indietro rispetto al resto d’Europa, mentre cantine come Col di Corte sono all’avanguardia nel loro settore.

Verdicchio, Lacrima di Morro d’Alba, Sangiovese e Montepulciano i vini di questa cantina, ma questa è un’altra storia (da oscar) che racconteremo la prossima volta.

 

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