L’Aglianico del Vulture della famiglia Carbone

Quando ero bambino, la Basilicata era sinonimo dei “Sassi”, i due quartieri di Matera caratterizzati da architetture rupestri che formano il centro della città e oggi patrimonio dell’umanità Unesco. Studiavi Matera e passavi l’interrogazione. La Lucania, invece, è molto di più, e oggi ne scopriamo una parte andando a Melfi, sede della Azienda Vinicola Carbone.

Foto Mauro Fermariello

La nostra è una terra meravigliosa, tutta da scoprire – sottolinea Luca Carbone, titolare della cantina con la sorella SaraMelfi è una città dalla storia importante: tra gli altri, vi soggiornò Federico II di Svevia dal 1225 al 1231, periodo nel quale furono promulgate le Costituzioni di Melfi, una serie di norme che regolarono la vita nel Regno di Sicilia. Inoltre, ha la cinta muraria più lunga del sud Italia, uno spettacolo mozzafiato.

Dai bizantini alla Fiat, passando per normanni, svevi, francesi e spagnoli, Melfi ne ha viste tante. Unico comune denominatore di questa lunga storia, e della Basilicata, è il vino Aglianico, che oggi è un simbolo della regione e uno dei prodotti di punta della cantina Carbone.

Quando, negli anni settanta, i miei genitori comprarono le terre che oggi coltiviamo – ricorda Carbone – iniziarono piantando l’Aglianico, alcuni vitigni internazionali e l’Incrocio Manzoni, utilizzato come base per uno spumante metodo classico. Poi, pur tenendo le vigne, si dedicarono ad altro e vendettero le uve alle cantine vicine fino al 1997. Ai tempi, trascorrevamo in campagna due settimane per la vendemmia, assieme ad altri quaranta membri della nostra famiglia; quell’anno in me scattò qualcosa, mi innamorai follemente del lavoro in vigna. Dopo un inizio ‘timido’, nel 2005, io e mia sorella lasciammo i rispettivi lavori per dedicarci alla nascita della nostra azienda. Inizialmente vinificavamo presso terzi, spesso da Paternoster, ma l’idea era creare al più presto una nostra cantina dove farlo da soli.

Nel frattempo, i fratelli Carbone acquistarono nuovi vigneti, distribuiti su 8 ettari che si aggiunsero ai 10 storici di famiglia e, mentre discutevano di costi, progetti e tempi di realizzazione, il destino decise di sorridergli: “Durante la ristrutturazione di casa nostra, a Melfi, scoprimmo un sistema di grotte ipogee in gran parte di tufo e pozzolana, risalenti a 1000 ani fa. Così, decidemmo di trasformarle nella nostra cantina.

La produzione passò dalle due tipologie di Aglianico iniziali a tre e, in seguito, aggiunsero un rosato base Aglianico e un Fiano. “Negli anni ottanta – ricorda Luca – le nostre uve Fiano erano molto ricercate in Campania, date le caratteristiche pedo-climatiche della nostra zona, molto simili a quelle dell’avellinese. Così, abbiamo deciso di tenerci le uve e produrlo in proprio.

Così, dopo l’intuizione di Sara e Luca, l’azienda Carbone passò da conferitrice di uve a produttrice, curando tutta la filiera, dalla vite all’imbottigliamento, e riorganizzando il lavoro in vigna: “Abbiamo selezionato 8 ettari di Aglianico e uno di Fiano per ottenere i prodotti migliori. La zona è quella dei pendii del Vulture a un altezza di 500 metri con esposizione a sud/sudest. È un terreno scuro dove una volta c’erano dei boschi di castagni: nella parte più alta abbiamo la DOCG, nell’altra la DOC.

Questo angolo del Vulture, come la casa di Melfi, riservò una sorpresa sotterranea alla famiglia Carbone: “Ci troviamo vicino a un’importante zona di acque minerali e nel nostro sottosuolo ci sono delle falde acquifere. In periodi di caldo torrido, non abbiamo problemi di siccità e quando piove troppo il terreno drena naturalmente le acque: una situazione perfetta.”

Oggi, Luca accetta e produce quanto Madre Natura gli concede, senza particolari accorgimenti: “Le uve vengono tutte raccolte a mano, abbiamo una resa limitata di 30/40 quintali per ettaro e vogliamo rimanga tale. Ogni annata ha la sua storia, quello che cresce produco così come è, senza interventi particolari in cantina. Magari, a un cliente potrà sembrare strano che le varie annate non siano simili tra loro ma per me deve essere così; ogni vendemmia racconta una storia diversa. Come potrei giustificare vini tutti uguali, omologati? Credo sia più corretto che ogni bottiglia sia lo specchio dell’annata.

A proposito di annate, molti insistono a chiamare l’Aglianico il “Barolo del sud”, sia per la struttura che per la possibilità di invecchiare, ma quanto può restare in cantina una bottiglia? Di fatto, i primi Aglianico con determinate caratteristiche risalgono ai primi anni duemila. Come capire il suo reale potenziale? “È vero – sottolinea Luca – in quel periodo l’Aglianico della Basilicata ha vissuto un boom. Le nostre prime annate, per esempio, sono del 2005, anno importante per questo rosso, un momento di svolta anche per le tecniche produttive. Mi dolgo di non aver iniziato a produrre, come avrei voluto, nel 1997 e di aver lasciato passare tanti anni prima di arrivare al nostro Aglianico d’esordio nel 2005. Ho dei vini che i miei genitori producevano negli anni ottanta ma non erano da invecchiamento. Comunque, i prodotti di quel periodo erano molto tannici, in alcuni casi difficili da bere. Qualcosa degli anni novanta di un certo livello potrebbero averlo Paternoster o Cantine del Notaio ma uno storico di Aglianico prodotti in un certo modo non esiste. Personalmente, posso dire che il mio vino imbottigliato nel 2005 è ancora fresco e potrebbe riposare tranquillamente altri dieci anni prima di iniziare a scendere.

Sull’Aglianico c’è ancora tanto da scoprire.

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