Castelfranci e l’importanza del terroir

Tra i monti più alti della catena Picentina, in provincia di Avellino, sorge il comune di Castelfranci dal quale prende il nome la cantina Colli di Castelfranci.

Qui, tra i 400 e 600 metri (con punte di 700 m) è un trionfo di vigneti di Aglianico e, una volta l’anno, durante la Notte dei Falò, in programma durante il ponte dell’Immacolata, si possono degustare i rossi locali assieme ad altre eccellenze dell’enogastronomia locale.

La Cantina Castelfranci, come molte altre della zona, iniziò la sua storia come conferitrice di uve con il patriarca Mario Gregorio, che trasmise la passione per le viti ai figli Luciano e Rosetta, prima che l’azienda passasse sotto la guida di Gerardo Colucci, oggi coadiuvato da suo figlio Sabino per la parte enologica e dal nipote Mario Gregorio, omonimo del nonno, per quella commerciale.

Dai tempi di mio nonno Mario, abbiamo venduto uve a privati fino a quando, nel 2002, c’è stata la nostra prima vendemmia – ricorda Mario Gregorio – un momento emozionante che ha dato il via a una nuova attività. In pochi anni, siamo arrivati a una produzione di 150.000 bottiglie per tutta la nostra gamma e contestualmente abbiamo portato la superficie vitata a 20 ettari ai quali se ne aggiungono altri 5 destinati agli ulivi e altre coltivazioni.

La famiglia possiede l’80% di questa terra ma il restante 20% – che conferisce uve a Castelfranci – coltiva, nel rispetto delle biodiversità, secondo un protocollo interno, in modo da avere un prodotto uniforme: “Ci troviamo nel punto più alto della zona, a circa 700 metri di altezza. L’area è caratterizzata da una forte escursione termica che assieme al terroir ci regala uve dalla buccia spessa che danno vita a vini intensi, acidi e destinati a una certa longevità.”

I bianchi sono Falanghina, Fiano e Greco di Tufo. Di questi ultimi due ci sono la Doc e la Docg: “Il Fiano nasce su terreno sabbioso in Contrada Arianiello, mentre il Greco viene da uve coltivate su un’area argillosa a Montefusco, presso la contrada Sant’Egidio.

Quando parla dei vini  di Castelfranci, Gregorio ci tiene molto a sottolineare non tanto la Doc o la Docg quanto il terroir: “Questa zona è in parte calcarea e in parte argillosa con una buona componente di gesso e sedimenti marini, rimasti dai tempi in cui tutta l’area era sommersa dalle acque del mare. Quando abbiamo iniziato a produrre il nostro vino, abbiamo scelto i cloni più adatti per questa terra, un legame che ha dato risultati unici. Lo stesso vale per altre cantine. Per questo motivo, bisognerebbe fare come i francesi e dare più importanza e valore al territorio, ai cru.

Anche sull’Aglianico, Mario ha le idee chiare: “Parliamo di un vino importante che ha la sua massima espressione nel Taurasi. Il nostro base fa acciaio ed è pensato per un mercato internazionale di neofiti dell’Aglianico. Poi c’è il Taurasi che, a seconda del produttore, ha un’interpretazione “modaiola” o una classica, più vicina a quello che dovrebbe essere il prodotto.

Recentemente, l’azienda ha lanciato un progetto per promuovere le proprie bottiglie in modo nuovo: “Abbiamo un programma per personalizzare le nostre bottiglie, creare etichette celebrative, aziendali o destinate ad essere le bomboniere di un matrimonio. E’ una forma di comunicazione molto efficace che lega il nostro nome ai ricordi felici di una famiglia o ai momenti importanti di un’azienda.

Quale etichetta vorreste per la vostra bottiglia di Castelfranci?

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