Storie di donne: Chiara De Iulis Pepe

Abruzzese, 29 anni, laureata in economia e successivamente diplomata in enologia. È l’identikit di Chiara De Iulis Pepe, terza generazione di Emidio Pepe, iconica cantina abruzzese sinonimo di qualità. Dai primi passi in vigna, nel vero senso della parola, alle esperienze in Borgogna e ai viaggi all’estero (la abbiamo intervistata durante una vendemmia in Patagonia), Chiara si occupa dell’export dell’azienda ma in realtà possiamo considerarla un jolly che in cantina ricopre tanti altri ruoli. Scopriamo assieme la sua storia.

Chiara, inizio con una provocazione. Ti senti mai dire che sei una figlia d’arte?
“È inevitabile ma vedo la cosa da una prospettiva positiva. Una parte di quello che faccio è scritta nel mio DNA, è genetica; c’è un ereditarietà dei gesti nata dall’osservazione e vivere in un ambiente nel quale diverse generazioni hanno fatto vino aiuta moltissimo. Poi c’è una componente individuale legata allo studio, in parte formata all’estero, che si fonde all’esperienza di famiglia.”

Raccontami Chiara.
“Chiara è cresciuta in azienda, la mia famiglia vive sopra la cantina da sempre. Non ho mai visto il vino come un lavoro ma come un’attività famigliare, una quotidianità di cui si parlava anche a tavola, qualcosa di piacevole. Ho iniziato presto a lavorare in azienda, seguendo i mercati esteri, a 16 anni ho iniziato a viaggiare prima con nonno e poi con zia, maturando un’esperienza nella gestione di questa attività. Mentre lavoravo, mi sono laureata in economia e ho fatto un semestre alla Sorbona, a Parigi;  ho viaggiato tantissimo e, a un certo punto, ho sviluppato una passione spasmodica per il vino che mi ha portato ad occuparmi da vicino anche della produzione, della parte enologica.”

Cosa è accaduto a questo punto?
“Mi sono trasferita in Francia e per un anno ho vissuto in un’azienda della Borgogna dove ho studiato sul campo la parte tecnica che mi mancava, poi mi sono diploma in enologia. Sono rientrata in Italia nel 2020.”

Duemilaventi, un anno che evoca l’inizio della pandemia. Per te cosa ha rappresentato quel periodo?
“Ho vissuto a tempo pieno quella stagione fra campagna e cantina. Il mio ricordo, pandemia a parte, è quello di una natura che ci ha donato una stagione straordinaria che, per clima e condizioni, ricordava quelle preriscaldamento globale: maturazioni fenologiche complete, acidità sostenute, grande equilibrio climatico, temperature basse durante la vendemmia. Ci siamo dimenticati delle annate precedenti quando la calura si è fatta sentire in maniera molto importante.”

Nella tua cantina, tra le altre cose, è importante la presenza femminile.
“Assolutamente. L’attività è stata iniziata dai miei nonni e oggi le proprietarie dell’azienda sono mamma Daniela, che si occupa della parte amministrativa e finanziaria, e zia Sofia che segue quella produttiva, oggi demandata a me. Poi c’è mia sorella Elisa che si occupa dell’ospitalità. Quattro donne alla gestione di una cantina, tre generazioni in attività, ognuna in un modo e con ispirazioni diverse. Nonna, per esempio, sviluppò la sua idea di vinificazione, puntando sui lunghi invecchiamenti che, ai tempi, erano considerati un salto nel vuoto. Per me fu lungimiranza e quella decisione è ancora oggi di ispirazione per tutte noi che siamo arrivate dopo.”

Molte donne sul lavoro subiscono atteggiamenti maschili spiacevoli. A te è mai capitato qualcosa?
“Ai tempi di nonna, o di mamma e zia, sicuramente le donne erano considerate diversamente. Ho 29 anni e la mia generazione è privilegiata, non deve dare prova continua delle sue competenze come è capitato a loro. Tanti scogli sono stati superati e credo che oggi, finalmente, venga riconosciuta la preparazione e ci sia un livellamento fra uomini e donne. Si giudica il lavoro, non il sesso. La considero un’eredità delle battaglie di tante donne che mi hanno preceduta, comprese quelle della mia famiglia ovviamente.”

Dimmi qualcosa che non hanno ancora scritto di te.
“Adoro sperimentare. Nonno ha fatto tante cose da pioniere che all’epoca venivano considerate bizzarre. Io ho preso da lui, sono molto concentrata su tante sperimentazioni agronomiche e progetti che non abbiamo ancora ufficializzato. Mi piace studiare e sviluppare cose diverse, fare innovazione. Questa attitudine è fondamentale per affrontare i cambiamenti climatici e fare in modo che chi ama i vini di Pepe ritrovi ogni anno la stessa qualità, il cui peggior nemico sono proprio queste stagioni folli. La stagionalità non esiste più e devi lavorare sodo per mantenerti ogni anno sugli stessi livelli.”

CHIARA CON IL NONNO EMIDIO

Hai un cognome importante. Ne senti la responsabilità, il peso?
“Non lo nego ma proprio perché le aspettative sono sempre crescenti questo fatto mi stimola moltissimo. Non è uno stress, sia chiaro, piuttosto una forte motivazione a fare sempre meglio, a dare il massimo.”

Dove ti vedi tra 10 anni?
“Ho un obiettivo: da nonno ho imparato l’importanza dei miglioramenti costanti. Lui ha raggiunto un livello di precisione straordinario e io voglio arrivare alla stessa attenzione ai dettagli, ma per questo ci vogliono anni, lavoro, esperimenti e anche fallimenti. Voglio rimanere con i piedi ben saldi in Abruzzo e continuare a vinificare con sempre più precisione, rispettando tradizione, natura e territorio. A dire il vero avrei anche un’idea…portare alcuni vigneti tra i 600 e gli 800 metri, ma non ti racconterò una sola parola in più per il momento.”

Come recitava un vecchio spot: “Sempre più in alto.”

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