Storie di donne: Caterina Mastella Allegrini

In piena pandemia raccontammo la storia di Marilisa Allegrini, amministratore delegato del Gruppo Allegrini, la donna che lanciò negli Stati Uniti il principe della Valpolicella e che per questo motivo fu soprannominata Lady Amarone. Oggi, è affiancata da sua figlia, Caterina Mastella Allegrini, che, nelle aziende di famiglia, ricopre il ruolo di direttrice marketing di Villa Della Torre, di amministratore delegato di San Polo (Montalcino) e responsabile dei progetti culturali per Allegrini Estates (le altre cantine sono Allegrini in Veneto e Poggio al Tesoro a Bolgheri).

Caterina, essere donna in un mondo che si ritiene esclusivamente maschile come è? Quante difficoltà hai incontrato?
“Permettimi una premessa che ritengo doverosa. Per mia mamma è stato sicuramente diverso e più complicato rispetto a me perché, quando ha preso in mano l’azienda familiare dopo la morte di mio nonno, il mondo del vino era prettamente maschile e le donne non erano minimamente considerate. Ai tempi di mio nonno, le sue sorelle furono “liquidate” e l’impresa di famiglia rimase a lui e a suo fratello Francesco. Poi nonno, con i suoi figli, volle percorrere una nuova strada, mettendo in azienda mia madre che, a differenza degli zii, impegnati nella conduzione dei vigneti e nella produzione, si occupava di marketing e del settore commerciale. Immaginate cosa passò: donna in un mondo maschile a promuovere un vino che ai tempi nessuno voleva. Oggi, l’ambiente è cambiato, più preparato e soprattutto noi donne siamo tante, tra cui molte giovani presenti proprio nel marketing e nella comunicazione, un ambito ormai femminile.”

Percepisco un ‘ma’ non pronunciato…
“Se da una parte siamo ben inserite, sulla parte enologica c’è ancora tanto da fare, siamo troppo poche. Non è una gara, ma una constatazione che riguarda posti di lavoro ai quali tante ragazze potrebbero pensare. Inoltre, percepisco una certa resistenza da parte di molte persone quando è una donna a parlare di enologia.”

A proposito di resistenze… Ti dicono mai che ti trovi dove sei per motivi di famiglia?
“Grazie della domanda. Papà ha sempre detto a me e mia sorella Carlotta che era importante non abbandonare la tradizione di famiglia – siamo cresciute tra i vigneti e le cantine – ma, da bravo insegnante, ha sostenuto l’importanza dello studio, proprio per permetterci di avere una scelta e non sentirci dire “Siete dove siete grazie al vostro cognome.” Io mi sono laureata in filosofia e sto terminando un dottorato di ricerca al San Raffaele, mentre mia sorella è medico di base. Grazie ai nostri genitori abbiamo dimostrato di poter fare qualsiasi cosa al di fuori dell’azienda ma abbiamo deciso di dividerci fra le nostre professioni e il gruppo Allegrini. Chi lavora nell’azienda di famiglia è spesso vittima di queste considerazioni, ma noi ci siamo impegnate al massimo per dimostrare che non era così e ci siamo pienamente riuscite.”

Parlando delle tante cose che fai, ti dividi fra il Veneto e la Toscana, dove avete altre aziende vitivinicole…
“Allegrini, l’azienda storica di famiglia, è alla sesta generazione con mia mamma ma con noi figlie e i nostri cugini arriviamo fino alla settima. Mamma, nel 2001, andò in Toscana con mio zio Walter per vedere alcuni terreni in Toscana e si innamorarono di Bolgheri: ero piccola ma ricordo quelle visite. Credo si convinsero ad investire nel territorio perché seppero che c’era già uno ‘straniero’, un certo signor Gaja… Acquistarono quasi 100 ettari. Io e Carlotta siamo cresciute in Allegrini ma ci sentiamo molto più coinvolte qui in Toscana perché è diverso vedere un’azienda crescere: ricordo bene il rogito, il primo vigneto e il primo appezzamento grande quasi 30 ettari dove era piantata lattuga. Chiesi a mamma e zio se volessero fare qualcosa di diverso dal vino, visto che non c’era una pianta d’uva da nessuna parte. È stato romantico e coinvolgente assistere a questa genesi, dalla scelta del nome e dei primi prodotti, alle decisioni riguardo le etichette.”

Rimanendo in Toscana, siete anche a Montalcino.
“Questa è una storia leggermente diversa, parliamo di una cantina già avviata. A San Polo buona parte del lavoro era stato svolto dalla proprietà precedente, ma abbiamo effettuato una modifica importante nel 2015. Mia madre mi chiese (imperativo categorico sarebbe il termine più giusto da usare – aggiunge Caterina ridendo) di fare il corso per imprenditore agricolo e, grazie allo studio – fu giusto farmi preparare a questo ruolo sui libri –  e al fatto di essere donna e sotto i 30 anni (avete presente i finanziamenti europei?), sono diventata amministratore delegato dell’azienda. La cantina produceva solo Brunello e Rosso di Montalcino ma, grazie a un lavoro di parcellizzazione di tutta la vigna, sono stati creati dei cru. Io e Carlotta ci siamo sentite protagoniste di questo cambiamento.”

CARLOTTA E CATERINA CON LA MADRE MARILISA

Manca un tassello al tuo racconto.
“Nel 2008, un anno dopo l’acquisizione di San Polo, mia madre acquistò Villa della Torre, diventata nostra sede di rappresentanza. 
Decidemmo di non vendere più le uve prodotte su quei terreni e di farci dei vini, un Valpolicella e un Lugana. Il lavoro di marketing su questi vini è stato importante e i miei studi umanistici sono tornati utili per la costruzione della brand identity della cantina.”

Comunicare il vino secondo Caterina…
“Eh, non è facile rispondere. A me non piacciono i racconti artefatti, le cose alla moda mentre reputo fondamentale la parte legata al racconto di quello che facciamo nei vigneti. Mio nonno diceva sempre a mia mamma e ai suoi fratelli che se i vigneti si trattano bene, in cantina si può solo fare una cosa: rovinare il vino. A me piace mostrare questa realtà, far immergere le persone in quello che abbiamo creato.”

Rimaniamo sulla comunicazione ma di un altro tipo: gli health warnings irlandesi.
“Non si dovrebbe demonizzare il vino ma parlare di abuso di alcol, cosa ben diversa. Bisognerebbe fare una comunicazione seria, parlare di consumo responsabile e del non guidare in stato di ebbrezza. Questo servirebbe, invece di trattare il vino come i pacchetti di sigarette. Io sono una europeista convinta, ma non si possono trascurare la storia dei singoli Stati e le diverse realtà sociali nazionali.”

Chiudiamo in leggerezza. A quale tipologia di vino non sai resistere?
“Il Nebbiolo e il Pinot Nero, subisco il loro fascino.”

Come darle torto?

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