
Storie di donne: Ilaria Cappuccini
Come si parla di vino ai giovani sui social? L’abbiamo chiesto a Ilaria Cappuccini, 28enne riminese, diplomata sommelier AIS. Nel 2021 apre il profilo Instagram just.saywine, che conta oggi quasi 170mila follower, con l’idea di raccontare il mondo dei piccoli produttori, fino ad allora quasi assenti sui social media. Nello stesso anno ha fondato “Blueat, la pescheria sostenibile”, una società benefit che tratta la questione delle specie aliene.
Come nasce il tuo approccio con il vino?
“In famiglia ci piace molto trascorrere il tempo insieme a tavola, sia come momento di aggregazione che per mangiare e bere bene, con qualità. Mio babbo è un medico con l’amore per la cucina. Mia madre è biologa, ma ha una grandissima passione per il vino. Forse contagiata in qualche modo da loro, dopo il liceo ho fatto un bachelor in arti culinarie in una scuola francese a Firenze, Cordon Bleu, seguendo un percorso a 360° nel mondo dell’enogastronomia, con tanta pratica in cucina. C’erano corsi di enologia e di abbinamento cibo-vino, che è uno dei miei temi preferiti. Ho fatto poi diversi stage in ristoranti e un Master in Food and Wine Business alla Luiss a Roma.”
Quando hai deciso che poteva diventare un lavoro?
“Ho iniziato lavorando per un produttore di podcast: facevo interviste, ho girato tutta l’Emilia-Romagna parlando con piccoli produttori e quello è stato un momento chiave, nel quale mi sono chiesta cosa potessi fare per aiutare queste realtà che non esistevano sui social, nessuno ne parlava. Andando a intervistare i produttori tornavo a casa sempre con una quantità infinita di bottiglie di Sangiovese e Albana; ho aperto il profilo instagram e ho iniziato piano piano a raccontare queste bottiglie e le aziende che avevo visitato. Durante la pausa forzata per il Covid ho fatto un Master in Digital Marketing e successivamente ho preso il diploma come sommelier AIS, così ho deciso di unire le varie competenze per raccontare meglio il vino sui social. Ho iniziato con i reel, che al tempo non erano ancora così conosciuti, molti dei quali sono andati subito virali e mi hanno aiutato a creare un seguito e a darmi credibilità, grazie anche al supporto di Capital Innova. Oggi parlo di cantine, di zone vitivinicole, di consorzi, anche di strutture ricettive in zone particolarmente vocate alla viticoltura, oppure di ristoranti, fiere, manifestazioni.”
Come si comunica il vino sui social oggi?
“La comunicazione è ancora molto esclusiva, fatta di guide di settore, di fiere, di riviste; non coinvolge il pubblico dei non esperti, forse perché il vino è un prodotto estremamente complesso. In Italia abbiamo una biodiversità pazzesca, siamo il Paese al mondo con il maggior numero di vitigni autoctoni e quindi ci sta che comunicare tutto questo non sia facile. Però è anche vero che il vino è elemento di aggregazione, in famiglia, tra amici, nei momenti piacevoli: è parte fondamentale della nostra quotidianità e la stragrande maggioranza delle persone in Italia lo beve, quindi è di tutti. Io non voglio parlare agli esperti del settore, attraverso l’utilizzo dei social voglio generare attenzione, interesse, curiosità nel consumatore che quotidianamente è abituato a bere vino, ma che spesso, penso soprattutto a quelli della mia generazione, ha timore nel chiedere qualche informazione in più. Nel mondo dei cocktail e dei superalcolici hanno sviluppato negli ultimi anni strategie molto più moderne e coinvolgenti e i risultati si vedono, perché i giovani abbandonano il vino e preferiscono gli analcolici o i vini dealcolati, oppure pasteggiano con il gin tonic. Secondo me è fondamentale la collaborazione tra chi fa parte del settore da sempre e chi come me invece fa comunicazione sui social, ma purtroppo ancora questa cosa non è ben vista. Devo dire invece che da parte dei produttori c’è tanto interesse, ho avuto riscontri molto positivi: le cantine vedono i risultati e mi contattano per nuove collaborazioni. Cerco di intendere il vino non solo come elemento singolo, ma in abbinamento con altri aspetti come il cibo, i viaggi, l’arte o la musica. Dev’essere considerato come parte di una narrazione d’insieme.”
Ci sono ancora pregiudizi verso le donne nel mondo del vino?
“Purtroppo è un settore ancora molto maschile e maschilista, ma non è l’unico. Ho una startup che si occupa della trasformazione di specie aliene come i granchi blu e anche nell’industria della pesca è così. Giusto per fare un esempio, ho avuto problemi anche solo per salire su una barca di pescatori, perché c’è la credenza che la donna in mare porti sfortuna. Oggi però ci sono sempre più produttrici donne, così come sommelier e comunicatrici del vino. Magari è più difficile farsi comprendere, dobbiamo fare uno sforzo extra per far capire che siamo competenti, che possiamo anche noi parlare di vino. Vedo tante donne che stanno raggiungendo traguardi importanti, soprattutto nelle nuove generazioni. Conosco produttrici che hanno tanta voglia di fare, portano creatività e innovazione. Il vento sta cambiando.”
Esiste una via femminile alla comunicazione?
“Ho a che fare con tante donne, anche al di fuori del vino, ad esempio nella mia società siamo tutte donne. Sicuramente vedo tanta creatività e cura del dettaglio. Credo che questa componente, tipicamente femminile, possa fare la differenza. Riscontro nelle donne anche tanta passione; non voglio generalizzare, perché conosco anche tantissimi uomini molto validi, però secondo me queste caratteristiche possono essere una marcia in più.”
La disaffezione dei giovani verso il vino è reale o una fake news?
“Sicuramente il vino non è mai stato considerato una bevanda da giovani, però temo si stia creando un clima di terrore, anche con le nuove leggi, che non fa altro che allontanare: i consumi non sono mai stati così bassi. Va considerata anche la ricerca di una vita sempre più sana, c’è la convinzione che bere un calice di vino faccia male. La comunicazione può aiutare, ma se rimane esclusiva e di settore, è difficile coinvolgere le nuove generazioni. Per fortuna sta crescendo l’enoturismo, quindi le cantine si stanno attrezzando per far vivere esperienze, per far capire che il vino non è solo un prodotto ma ha tutta una cultura dietro. Il vino è troppo importante per un Paese come l’Italia, quindi è bene affrontarlo con intelligenza. I superalcolici vengono comunicati in maniera diversa, non ti viene fatto credere che se non conosci tutto su come viene fatto il gin non lo puoi bere, mentre con il vino le persone hanno più remore nel chiedere, perché ci si sente stupidi. Dovremmo stimolare i consumatori a interessarsi, a capire di più. Spero che le nuove generazioni inizino a capire che il vino fa parte della storia del nostro Paese, ovunque vai bevi bene, bevi cose meravigliose. Sono stata da poco in Champagne, dove hanno lo spumante più famoso al mondo e un territorio sicuramente particolare, ma loro chiamano montagne delle colline che sono a 200 metri sul livello del mare. Da noi viene fatta viticoltura anche sopra i mille metri, parliamo di territori affascinanti che devono essere raccontati e valorizzati.”
Low alcol e no alcol. Cosa ne pensi?
“Non sono contro queste bevande, anche se non le chiamerei vino. Trovo giusto che esistano per chi il vino non lo può bere, ne ho assaggiate alcune e e mi sono anche divertita con amici a fare delle degustazioni alla cieca dove nessuno le ha riconosciute. Sicuramente sono prodotti diversi, li trovo estremamente dolciastri e privi di consistenza. Sono stata a Wine Paris e c’era un padiglione dedicato solo alle bevande low e no alcol, anche in Italia i produttori che si stanno muovendo in questa direzione sono diversi, però credo che non sarà un fenomeno che prenderà veramente piede. Il vino è il risultato di una fermentazione alcolica e quindi l’alcol ci deve essere. Io bevo vino tutti i giorni, so che non è proprio corretto, però è una cosa che adoro fare e ci sono cibi che non riesco a mangiare senza accompagnarli con un bicchiere, come il salmone e il baccalà; per me è inimmaginabile uscire a cena a mangiare una fiorentina e non bere un calice di vino. Però, più che i dealcolati, mi spaventa il consumo crescente di cocktail durante la cena: conosco gente che pasteggia con i superalcolici. Esperienza simpatica e divertente forse, ma da fare una volta ogni tanto.”
Ci sono donne che ammiri in modo particolare in questo mondo?
“Penso che nel mondo del vino ci siano comunicatrici molto brave, che ammiro e in parte anche invidio. Mi viene in mente Cristina Mercuri, candidata a diventare la prima Master of Wine donna in Italia. Ho avuto diverse occasioni per confrontarmi e assistere a sue masterclass; poter parlare di vino un domani come lei, per me sarebbe un sogno. Un’altra donna che stimo per la sua conoscenza e per il suo modo di esprimersi è Laura Donadoni. Recentemente è venuta a Rimini per il progetto su Rebola e Sangiovese e devo dire che è una donna dalle competenze infinite, mi è rimasta veramente impressa. Una produttrice che mi appassiona molto è Marina Cvetic, che sta facendo un ottimo lavoro insieme alla figlia Miriam Lee Masciarelli. Penso anche a Stevie Kim, sono tutte figure che secondo me stanno facendo la differenza.”
Cosa vedi nel tuo futuro?
“Nel mio futuro vedo sempre e comunque la comunicazione del vino. Ovviamente i social cambiano di giorno in giorno; ho quasi 29 anni ma inizio a sentirmi vecchia in questo mondo, è una cosa di cui devo tenere conto. Non posso non considerare anche la mia altra attività, che già oggi occupa almeno il 70% del mio tempo e prenderà sempre più piede. Voglio continuare a fare comunicazione per chi non è del settore. Tante persone che mi seguono mi chiedono perché non organizzo masterclass o corsi di avvicinamento al vino: mi piacerebbe poter dare nozioni in più a chi grazie a me si interessa a questo tema. Avevo anche pensato ad un podcast sul mondo del vino ed era nata un’idea con i ragazzi di Eccellenza Italiana; sono molto bravi e si occupano di tutto quello che è eccellenza nel nostro Paese, quindi vino, cibo, moda, arte. Mi piacerebbe studiare nuovi format, in modo comunque sempre snello e leggero, perché l’attenzione è sempre in calo. Se si trova il modo giusto per raccontare il vino, le persone si interessano. È giusto che tutti, soprattutto i giovani, si sentano liberi di poter approcciare questo mondo, cosa che oggi purtroppo non succede.”