Storie di donne: Michela Muratori
Una nuova storia di una donna del vino. Vi raccontiamo Michela Muratori, quarantenne lombarda che si occupa della comunicazione della cantina di famiglia, la Muratori Franciacorta.
Michela, parlaci di te.
“Sono laureata in lingue e letterature straniere. Per il Master, ho vissuto un anno a Dublino, un periodo trascorso a contatto solo con stranieri, prevalentemente irlandesi, fondamentale per la mia crescita personale.”
Studi universitari lontani da quelli utili per lavorare in una cantina…
“Ecco come è andata. Sono tornata a casa dall’Irlanda e ho messo piede nell’azienda di famiglia, anche se non avevo una formazione in ambito enologico o una particolare predisposizione a questo lavoro. Mi sono appassionata, mi sono buttata a corpo morto in questo ambiente, partecipando a tutti i corsi ed eventi possibili e immaginabili: professionali, degustazioni, visite alle cantine. Poi, ho declinato in azienda i miei studi e dal 2007 sono responsabile della comunicazione.”
Gestisci questo settore da sola?
“Commercializziamo quasi 350.000 bottiglie di Franciacorta, non siamo esattamente una piccola azienda ma il controllo rimane nella sfera della famiglia Muratori. Io supervisiono la comunicazione e l’ufficio stampa mentre una società esterna ci segue per le attività social.”
Veniamo al tuo cognome che, dopo il rebranding di un anno fa, coincide con quello dell’azienda: ti hanno mai rinfacciato di essere la figlia del proprietario? Di solito ai figli maschi non lo dicono, ma alle donne…
“All’inizio del mio lavoro questa cosa mi si è ritorta contro. Concordo sul fatto che agli uomini non dicano qualcosa in merito, in ogni caso la gente dovrebbe capire che si tratta di un’azienda di famiglia e quindi…”
Cosa è successo?
“Ero giovane e immatura, un po’ ingenua. Quando uscivo in affiancamento ai venditori, questi davano per scontato, per il fatto che stavano parlando con la figlia del proprietario, che alcune mie risposte a delle richieste fossero definitive, delle affermazioni (in realtà erano dei “vediamo”) – mentre di particolari ordini o necessità discutiamo in azienda prima di dare il via libera – dando adito a fraintendimenti. Facendo un discorso generale, essere “la figlia di” o “il figlio di” – diciamola tutta – ti accompagna nel bene e nel male: ti viene dato più ascolto, più credibilità, in alcuni casi anche quando magari non la meriti.”
Essere una donna del vino, invece cosa significa?
“Noi donne abbiamo alcune caratteristiche in più che l’uomo non ha, abbiamo carte che dobbiamo saperci giocare.”
Ti fermo subito, a questo punto qualcuno potrebbe pensare che ti riferisci all’aspetto fisico.
“Non sono una brutta donna per cui ti dico che c’è chi guarda questo aspetto all’inizio – e me ne accorgo – e preferisce parlare con una ragazza piuttosto che con un uomo. Però devi saper dimostrare che sei competente, capace, che conosci la materia. Il nostro ambiente è ancora prevalentemente maschile e l’essere donna fa più simpatia ma ci sono limiti che non bisogna varcare, bisogna essere credibili, avere la stima dei propri interlocutori.”
Capita che qualcuno esageri?
“A volte, soprattutto in Italia dove si butta tutto sul godereccio: si stappa la bottiglia, una risata e magari qualcuno alza il gomito. Io sono stata fortunata perché non mi è mai capitato niente di fastidioso, ho evitato determinate situazioni, quindi nessuna mancanza di rispetto o momenti imbarazzanti. Questo non toglie che ci siano persone invadenti.”
Ti è capitato di sentire racconti di colleghe/amiche del mondo del vino che si sono trovate in situazioni di questo tipo? Mentre parlavamo hai accennato il termine “violenza”. Ce ne sono di tanti tipi, fisica, psicologica…
“Per fortuna non conosco donne che abbiano vissuto questi momenti terribili ma permettimi di allargare il discorso. Bisogna sempre denunciare questi fatti, tutti, ma ci sono anche situazioni discriminatorie di cui si parla meno.”
Un esempio?
“C’è gente che pensa “questa non la assumiamo perché rimane incinta” e lasciano una persona competente fuori dal mondo del lavoro. Ho l’impressione che, mentre in passato le lotte femministe erano su argomenti forti e hanno portato a casa risultati importantissimi, oggi si vanno a vedere le finezze, le sfumature, non i problemi seri.”
Veniamo a un tema che fa discutere: social e vino. Alcuni profili sembrano cataloghi di costumi da bagno e intimo più che pagine di esperte del vino.
“Tante donne fanno un uso inappropriato della propria immagine. Indubbiamente sono femminili, molto belle ma fanno leva sull’ammiccamento, non sui temi per i quali nascono questi profili social; c’è chi si fotografa in modo particolare con lo champagne e parla di altro. È una via semplice, che fa leva su una certa fisicità ma non costruisce un’immagine professionale, non aiuta l’azienda, la società o il brand di chi utilizza questa comunicazione. Queste donne non costruiscono una loro immagine, fanno altro. Poi, bisogna specificare che, a fronte di pagine davvero imbarazzanti, ci sono donne che sanno usare il loro charme, che pubblicano scatti bellissimi, garbati, eleganti: questa comunicazione non è volgare ma ben fatta. In ogni caso, ho una mia idea ma siamo in un mondo libero.”
Credi nelle categorie?
“Tipo?”
Le donne in azienda servono per la loro “finezza”, la delicatezza, il buon gusto e simili.
“Ho due figli maschi e li sto crescendo senza categorie. La finezza dipende dalle persone. Riconosco che ci sono differenze fra l’intelligenza maschile e femminile in certi casi, alcune attenzioni a determinati temi ma dire è tutto rosa per le femmine e azzurro per i maschi è un ragionamento limitante e antico. Mio figlio va a nuoto con un accappatoio lilla e pensano sia una ragazza. Questo ti dà la misura del mondo in cui viviamo.”
Hai parlato di figli. Sei madre e manager, come fai a coniugare questi aspetti?
“Ammetto che, diversamente da quanto si possa credere, lavorare nell’azienda di famiglia è limitante perché non esiste più il confine tra la sfera privata e professionale: tutto si fonde. Però, questo fatto mi dà l’opportunità di dedicarmi ai miei figli il pomeriggio perché posso andarli a prendere a scuola e lavorare da casa.”
Hai toccato un altro tema spigoloso: parliamo di smart working. Lo stanno eliminando ma bisogna riconoscere che aiuta tante donne a organizzare lavoro e famiglia.
“Parlo del settore privato. Quando la figura professionale è interessante, l’azienda è la prima che tenta di tenerla in casa, di aiutarla e le va incontro: almeno per come ragiono io che ho anche fatto smart working quando ero incinta. Lavorare da remoto tutta la settimana non ha senso ma anche eliminarlo del tutto sarebbe un errore gravissimo. Due eccessi, ci vuole misura.”
Un progetto di Michela…
“Facciamo due. Lo scorso anno abbiamo fatto un grosso rebranding, scegliendo di mettere in etichetta, dopo vent’anni, il nostro cognome: Muratori, al posto di Villa Crespia. Stiamo lavorando per affermarlo in modo sempre più importante. Poi c’è la questione della sostenibilità, abbiamo iniziato i lavori per diventare una cantina carbon free, un aspetto che, assieme al rispetto per la terra, reputiamo fondamentale.”