Sulla Strada del Vino: Cantina San Michele Appiano

Per gli appassionati di vino, l’Alto Adige, e in particolare la Südtiroler Weinstraße (Strada del Vino), è una tappa obbligatoria almeno una volta nella vita. Paesaggi incantevoli con viste mozzafiato sulla valle, la squisita accoglienza dei sudtirolesi e, soprattutto, distese di vigneti a perdita d’occhio. Cosa chiedere di più?

Il racconto del nostro recente viaggio inizia da quella che è forse la cantina cooperativa più iconica del territorio: Kellerei St. Michael-Eppan. Fondata nel 1907, conta oggi più di 300 famiglie di viticoltori per una produzione di più di due milioni e mezzo di bottiglie l’anno. Figura di riferimento dell’azienda è Hans Terzer, enologo a San Michele da oltre 40 anni e pioniere della vinificazione in bianco in Alto Adige. Con lui abbiamo parlato della cantina e di come è cambiato in questi anni il mondo del vino.

HANS TERZER

Quali sono stati i suoi inizi?
“Da ragazzo mi sono guadagnato i primi soldi lavando bottiglie nella cantina Tiefenbrunner a Niclara, il mio paese d’origine. Il proprietario mi ha convinto a restare e a dedicarmi alla produzione del vino. Ho quindi frequentato la scuola agraria e ho avuto l’occasione di entrare a 19 anni nella cantina del Centro di Sperimentazione Laimburg, lavorando insieme a colui che considero il mio mentore, l’allora direttore Klaus Platter. Durante il servizio militare sono stato avvicinato dai dirigenti di San Michele che mi hanno proposto di lavorare per loro. Ho accettato subito, forse inconsapevole di quello che mi aspettava, anche perchè all’epoca la cantina non aveva l’immagine che ha oggi.”

Com’era la situazione ai tempi?
“L’azienda produceva l’85% di vino a base Schiava, in zone secondo me poco vocate. Ci sono voluti più di 15 anni per estirpare la Schiava nelle zone troppo alte, dove non maturava bene, e far impiantare vitigni a bacca bianca. Ho capito subito che i bianchi potevano essere la carta vincente della nostra cantina. All’epoca il vino bianco veniva venduto in cisterna ad altre cantine; così abbiamo deciso di cambiare rotta, iniziando a dare più importanza alla bottiglia. Il vino sfuso non ti premia, ma il vino in bottiglia ti obbliga a firmare l’etichetta, rispondendo al mercato in termini di qualità. Ci siamo quindi dati da fare non solo cambiando il colore dell’uva, ma anche dialogando con i nostri soci per produrre meno e meglio, con più attenzione al risultato finale.”

Quando sono arrivati i primi cambiamenti?
“Nel 1982 è nata la mia prima selezione, il Pinot Bianco Schulthauser. Sono stato anche uno dei primi, se non il primo, in Alto Adige a scommettere sullo Chardonnay che fino a quel tempo non esisteva: era conosciuto solo con il nome di Pinot Bianco Giallo. Nel 1986 abbiamo lanciato la linea Sanct Valentin e man mano abbiamo costruito la proposta che abbiamo oggi, fino ad arrivare a Appius e TWC. La mossa vincente è stata senza dubbio quella di stravolgere il modo di lavorare di allora, puntando sulla zona meglio vocata per ogni singolo vitigno.”

Facciamo una panoramica sulla proposta attuale di St. Michael-Eppan.
“Dai 175 ettari iniziali, oggi siamo arrivati quasi a 400, con una percentuale di poco meno dell’80% di vini bianchi. A parte Appius e The Wine Collection, che sono i nostri fiori all’occhiello, le linee principali sono tre: Classic, Fallwind e Sanct Valentin.”

Quali sono le differenze tra le tre linee?
“La linea classica coinvolge circa un 55% della produzione. Sono presenti quasi tutti i nostri vitigni, ad esclusione di Riesling e Sauvignon. I vini vengono affinati in acciaio e usiamo legno grande solo per i rossi di una certa struttura come Pinot nero, Cabernet e Lagrein. Sono tutti assemblaggi di diverse zone di produzione, con una resa media tra i 90 e i 110 quintali per ettaro. Anche i vigneti più giovani pensati per le altre linee, per i primi 7-8 anni confluiscono nella Classic. Per la Fallwind, che è l’ex linea “Selezione”, la resa inizia a scendere e ci attestiamo tra i 70 e gli 80 quintali. Anche questi vini provengono da uve di zone diverse, ma sono tutti monovitigno tranne il Merlot Cabernet. In base all’annata, alcuni possono affinare in parte anche in legno e fanno fino a un 30% di malolattica, tranne i vitigni aromatici che riposano solo in acciaio. Per finire c’è la linea che prende il nome dal castello di Sanct Valentin, dove sono nate le prime bottiglie nel 1986. Oggi i vini Sanct Valentin sono assemblaggi dei migliori vigneti del nostro territorio, vigneti con una certa età e con una resa per ettaro al massimo di 65 quintali.”

Come è cambiata la vostra filosofia produttiva dagli anni ’80 ad oggi?
“Uno dei cambiamenti più significativi è stato il passaggio dalla pergola (che oggi rimane solo per un 10% del totale) al guyot. È cambiata molto anche la mentalità di produzione: oggi tutti i nostri soci hanno capito che a una minore resa corrisponde un maggiore guadagno, perchè premiamo le uve più valide. Una volta quasi tutte le uve venivano pagate a un prezzo medio e nessuno era interessato a fare qualità. Oggi abbiamo capito che il vino buono nasce in vigna e dobbiamo studiare e lavorare per fare in modo che il prodotto finale sia la migliore espressione del territorio. Per fare un esempio, è inutile usare il legno per vitigni come Müller Thurgau o Gewürztraminer, mentre può avere senso per uno Chardonnay o un Pinot Grigio di struttura. Poi serve un’opera di selezione sui singoli vitigni e vigneti per far sì che il prodotto sia immediatamente riconoscibile, che si possa parlare di “Made in Alto Adige” o meglio ancora “Made in San Michele”. Negli anni 2000 forse abbiamo esagerato con l’uso del legno e per fortuna credo che questa moda stia passando.”

A proposito di lavorazione, avete mai pensato a tecniche alternative?
“Credo non lo faremo mai. Materiali come la terracotta fanno parte della stilistica di altri Paesi e non ci appartengono. L’Alto Adige è stato il primo territorio dove i Celti hanno iniziato a lavorare con le botti di legno e mi piace rimanere legato alla tradizione. Non vorrei sembrare antiquato: ho provato ma non è nelle mie corde. La mia idea è quella di avere vini netti, molto puliti e credo che queste forme alternative di lavorazione vadano ad alterare questi fattori. So che anche da queste parti c’è qualcuno che sta sperimentando nuove soluzioni, ma non penso sia una carta vincente per l’Alto Adige.”

Come state affrontando la questione dei cambiamenti climatici?
“La mia filosofia è di non andare a vendemmiare uve verdi. Preferisco avere mezzo grado in più di alcol, ma avere un’uva fisiologicamente matura. Sicuramente alcune cose stanno cambiando: ad esempio sul guyot lasciamo molte più foglie rispetto a un tempo, quando si sfogliava per esporre l’uva al sole. Quando progettiamo impianti nuovi, cerchiamo di farli a sud-est o sud-ovest per avere meno impatto del sole dove possibile. Insomma, c’è da fare uno sforzo in più. Siamo una delle poche cantine che non premia solo la qualità dell’uva ma anche il lavoro in vigna. Se il conferitore segue le nostre direttive, acquisisce un punteggio favorevole che incide sul prezzo delle uve. Se invece lavora in modo diverso, ad esempio se va a sfogliare troppo, viene penalizzato.”

Appius, la sua creazione più famosa, ha appena compiuto dieci anni. Come è nata l’idea di questo vino?
“Nel 2010, dopo 25 anni di Sanct Valentin, ho pensato che si potesse fare ancora meglio. In passato avevo fatto diverse microvinificazioni ma non mi ero mai convinto del tutto a metterle in bottiglia. L’idea è nata con con un nome in inglese, The Best of 2010, che poi ho abbandonato. Però il senso era proprio quello di avere il miglior vino dell’annata. Mi sono chiesto: Faccio ogni anno un vino particolare? Ho una botte migliore? No, perché abbiamo annate in cui magari è più buono lo Chardonnay, altre dove è meglio il Pinot Grigio, non c’è costanza. Per cui ho deciso di fare un assemblaggio dei nostri quattro vitigni più importanti (Chardonnay, Pinot Grigio, Pinot Bianco e Sauvignon, escludendo il Gewürztraminer perchè marca troppo), variando leggermente le percentuali di anno in anno. Il risultato è un vino che dovrebbe raccontare l’annata: se è stata più o meno calda, se ha dato poco o tanto alcol, se ha generato vini più eleganti o più strutturati. Anche la lavorazione è diversa dalle altre, tutte le uve vengono vinificate in legno separatamente e assemblate dopo un anno, al quale ne seguono altri tre di ulteriore affinamento sui lieviti fini in acciaio.”

Veniamo alla domanda che tutti si aspettano. Si dice in giro che quest’anno potrebbe lasciare. È davvero così?
“Lascerò l’azienda ufficialmente prima della vendemmia, quella del 2023 è stata la mia ultima. Penso che continuerò comunque a supportare il mio successore Jakob Gasser, un giovane che collabora con noi dal 2017. Nel 2024 farò 68 anni e pur avendo ancora voglia di lavorare, credo che a un certo punto sia giusto passare la palla ai giovani. Ho già detto in altre occasioni che non starò né al fianco né davanti a Jakob, ma sarò dietro di lui a coprirgli le spalle se ne avrà bisogno. Sono convinto che per San Michele non cambierà molto: sarebbe stato diverso se avessimo preso un enologo da fuori, che forse si sarebbe sentito in dovere di dimostrare di essere più bravo del sottoscritto, magari guidando l’azienda in un’altra direzione.”

Potrebbe presentare Jakob a chi ancora non lo conosce?
“Ha studiato enologia e dopo aver fatto uno stage da noi e uno in Toscana, è tornato in azienda. Ha lavorato in cantina per tre anni ed è al mio fianco da sei. È un ragazzo preparato, molto bravo anche in vigna: viene da una famiglia di vignaioli e si vede. Gli piace girare, curiosare, andare a selezionare. Per i primi anni si dedicherà sicuramente più alla parte tecnica, mentre gli aspetti commerciali che seguivo io saranno affidati a qualcun altro.”

C’è un sogno, qualche cosa che le piacerebbe fare e non ha ancora fatto?
“Prima di tutto mi piacerebbe viaggiare di più, perché non ho girato abbastanza. Vorrei visitare qualche Paese dove non sono mai stato, per esempio mi manca la Nuova Zelanda. Conosco bene l’Australia, un po’ gli Stati Uniti e il Sud America. Continuare a frequentare il mondo vitivinicolo avendo più tempo a disposizione, non sempre di corsa. E poi vorrei dedicarmi di più alla famiglia, che fino ad oggi mi ha visto molto poco.”

Uscendo dall’Alto Adige, quali sono i suoi vini preferiti?
“Potrei riempire mezza intervista solo con questa risposta. Dipende molto dall’occasione ma se parliamo di bianchi, sicuramente penso alla Borgogna e al Riesling. Per i rossi direi Borgogna, Bordeaux, Côtes du Rhône, Barolo, anche qualche toscano ovviamente. E poi sono appassionato della Napa Valley e dell’Australia, dove mi sento quasi a casa. Insomma, ne ho tantissimi. Purtroppo mi piacciono quelli buoni, quindi quelli costosi.”

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