I giovani consumano poco vino? I problemi sono altri

Uno degli argomenti più gettonati in questo periodo, nelle discussioni fra colleghi o negli articoli sulla stampa specializzata, è la presunta correlazione fra la riduzione dei consumi di vino in Italia e le abitudini delle nuove generazioni, che si starebbero allontanando da un mondo ritenuto poco attraente, se non addirittura respingente, fatto di racconti noiosi e inutili tecnicismi, preferendo la nuova frontiera delle bevande NoLo (No-Alcohol e Low-Alcohol).

Per citare, riadattandolo alla situazione, un classico della cinematografia italiana: “Qui si sono passati limiti, si sono dette delle cose oltraggiose per il vino, si sono affermate delle assurdità.”

Perché diciamo questo? Il vino, almeno negli ultimi quattro decenni, non è mai stato in cima alla lista delle preferenze dei giovani (prima la quotidianità era molto diversa). Per fare un esempio, i nati negli anni Settanta da ragazzi andavano in birreria perché una bionda alla spina era tanta roba e soprattutto economicamente più abbordabile. Il vino? Tolta la fortuna di chi l’aveva conosciuto fra le mura domestiche – e non parliamo di bottiglie da poco – per molti era un prodotto snob, di nicchia, costoso, “da vecchi”.

Rispetto ai nostri tempi (doloroso vedere questa frase uscire dalla tastiera), ci sono oggi molti luoghi dove consumare vino; si è affermato il fenomeno dell’aperitivo mentre le enoteche ricoprono un ruolo che prima non avevano, affiancate dai wine bar. Tuttavia, raramente capita di vedere i giovani seduti ai tavoli con un calice di bianco o di rosso (forse più le ragazze, che dimostrano gusti migliori su cosa consumare); piuttosto, sono orientati su superalcolici, cocktail e tutto quanto possa “stortarli” a un prezzo ridotto: costo minimo per un danno massimo.

Ecco, dovendo parlare di ragazzi – non iniziate con la nomenclatura delle generazioni, please – ci si dovrebbe preoccupare non del fatto che bevano poco vino ma di fenomeni come l’abuso di superalcolici, il binge drinking (consumo di quantità importanti in poco tempo), e la mancanza di una cultura del bere responsabile. Fra una decina di anni, sarà interessante vedere le conseguenze di queste abitudini sul fisico dei ventenni di oggi.

Se vogliamo parlare dei consumi di questa generazione, il tema dovrebbe essere questo o piuttosto il problema degli incidenti stradali provocati dagli under 30 in stato di ebbrezza, perché le conseguenze di queste bevute “per sballarsi” non sono solo quelle che valuteremo in futuro sulla salute ma anche le risse, per non parlare dei morti e feriti causati da persone che si mettono alla guida (non solo di automobili ma anche di moto e scooter) in evidente alterazione alcolica. Preoccupiamoci che i nostri ragazzi capiscano le conseguenze delle loro azioni e iniziamo a fare cultura, a spiegare quali sono i rischi – per loro stessi e gli altri – a insegnare loro a mettere al volante un amico sobrio o a prendere un taxi nel caso abbiano bevuto un bicchiere di troppo. Si può passare una serata piacevole senza ferirsi, procurare danni ad altri o uccidere qualcuno.

A questo, ovviamente, si potrebbe affiancare un altro tipo di insegnamento, quello del buon bere. Si deve trovare un linguaggio che possa avvicinare e non respingere per raccontare le tante realtà produttive di eccellenza del nostro Paese, per spiegare in termini semplici e accattivanti come degustare e abbinare i vini. Anche l’enoturismo può fare la sua parte, offrendo esperienze coinvolgenti che facciano capire come dietro ad un bicchiere ci siano storie affascinanti che meritano di essere raccontate.

Quando si parla di consumi in calo, si dovrebbe guardare la luna e non il dito che la indica: il problema non sono i giovani. Invitarli a bere o, ribadiamo, stimolare direttamente o indirettamente un consumo smodato, non è sicuramente il modo migliore per crescerli.

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