Reboro, il passito della Valle dei Laghi

La parola chiave è appassimento, la protagonista è un’uva poco conosciuta dalla storia affascinante: il frutto del vitigno rebo, al centro della quarta edizione, tenutasi il 15 e 16 ottobre scorsi, di “Reboro: territorio e passione”, organizzata dall’Associazione Vignaioli Vino Santo Trentino. Due giorni di approfondimento, conoscenza, interpretazioni, degustazioni e visite guidate alle cantine produttrici di un vino che trova casa nella Valle dei Laghi, tra l’alto lago di Garda e la città di Trento.

Nasce tutto dal rebo, vitigno ibrido risalente alla fine degli anni ‘40 ottenuto dall’intuizione dell’agronomo e genetista Rebo Rigotti: incrociare merlot e teroldego. Le sue uve vengono lasciate appassire (una tecnica che, qui, ha radici antiche) per tre mesi sulle “arele”, speciali graticci intrecciati utilizzati per farle riposare permettendo il naturale passaggio dell’aria, quella dell’Ora e del Pelèr, i venti di questo territorio. Un vino rosso, il Reboro, che matura, dopo una lunga permanenza sulle bucce, per tre anni in botti di rovere, con un processo di invecchiamento che dà al vino stesso eleganza e struttura.

Il Reboro è il risultato di un progetto che, nella sua declinazione attuale, ha poco più di dieci anni per una produzione che al momento si assesta sulle settemila/ottomila bottiglie all’anno. Il suo colore è intenso e caratteristico, un rosso tendente al rubino per un bouquet di frutta rossa, confettura, spezie e mai invadente legno; al palato è particolarmente persistente e di intensa personalità, ricco e rotondo ma mai aggressivo, per abbinamenti ideali con i piatti tipici della zona: selvaggina, carni rosse e formaggi stagionati. In ultimo, in virtù delle caratteristiche dovute alla sua espressione aromatica e al suo lungo affinamento in legno, può rivelarsi anche come interessante vino da meditazione.

Una manifestazione, quella di “Reboro: territorio e passione”, voluta anche come occasione di confronto, di ospitalità e di incontro con altri produttori vinicoli, di pari livello e con caratteristiche comuni, di diverse zone del nostro paese. L’edizione di quest’anno ha visto un ideale gemellaggio con la Valpolicella e, nello specifico, con il suo Amarone: un’originale e particolare degustazione guidata dall’enologa Sissi Baratella di 12 differenti annate e aziende ha dato modo ai partecipanti di valutare, nel calice, diversità e similitudini tra l’Amarone stesso, il Rebo e il Reboro.

Il trait d’union, comune per tutti e tre i vini, è evidente nell’eleganza, nelle note aromatiche per naso e palato tipiche delle uve appassite e nell’importante gradazione alcolica. Le differenze, invece, risiedono nelle peculiarità produttive proprie di ogni singola azienda e nell’uvaggio (un unico vitigno per Rebo e Reboro, mentre l’Amarone vuole uve corvina o corvinone, rondinella e, in alcuni casi, anche lo stesso rebo fino a un massimo del 5%).

La manifestazione è stata aperta da “Trentino e Veneto, tecniche e territori a confronto”, una tavola rotonda con esperti del settore, divulgatori e vignaioli che ha toccato i temi delle uve rosse dei tre vini, delle tecniche e dei territori, anche alla luce dei cambiamenti climatici sempre più importanti, capaci di influenzare le coltivazioni vinicole e i tempi di raccolta delle uve. Al convegno sono intervenuti Maurizio Ugliano, professore Associato dell’Università di Verona; Enrico Nicolis, enologo veronese, consulente e fu ricercatore in Università; Christian Marchesini, presidente del Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella, Luciano Groff, enologo e professore presso la Fondazione E. Mach; Enzo Poli, presidente dell’Associazione Vignaioli del Vino Santo Trentino e vignaiolo di Santa Massenza.

Degna conclusione della giornata di incontri infine, una cena al Peter Brunel Ristorante Gourmet di Arco, con i vini della Valle dei Laghi abbinati ai piatti studiati per l’occasione dallo chef stellato.

Photo Credits: Luca Riviera

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