Storie di donne: Francesca Negri
Siamo nella settimana della Giornata internazionale dei diritti della donna e, come nostra consuetudine, celebriamo questa ricorrenza incontrando alcune protagoniste al femminile del mondo del vino, facendoci raccontare le loro storie.
Volto tra i più noti del giornalismo enogastronomico italiano, Francesca Negri è autrice di libri, personaggio televisivo, firma di testate come il Corriere del Trentino, wine tutor, Donna del vino, fondatrice di un’agenzia creativa e direttore responsabile di Fancy Magazine.
Il nome a cui viene più spesso associata è però quello di Geisha Gourmet, il suo storico blog (nonchè un account instagram con oltre 100mila follower) dal quale prendiamo in prestito la frase introduttiva, che sintetizza al meglio l’approccio di Francesca al racconto del vino: “La Geisha Gourmet rappresenta una nuova generazione di donne che non ha timore di concedersi i piaceri enogastronomici senza sensi di colpa.”
Qual è il tuo primo ricordo legato al vino?
“Il primo ricordo, del quale ho anche una testimonianza fotografica, risale ai tempi dell’asilo a Trento, quando ci hanno portato a pestare l’uva nei tini. In realtà non è stato il mio primo approccio diretto, perché da noi in Trentino ai bambini si usava far bere l’acqua sporcata con il vino fin da piccoli, anche se non si dovrebbe dire.”
Quando invece il tuo percorso professionale ha incontrato il mondo del vino?
“Sono sempre stata appassionata di cibo e di vino. Durante l’università ho iniziato ad andare in giro per ristoranti nei fine settimana affidandomi alle varie guide. Parliamo di tempi non sospetti, quando il turismo enogastronomico ancora non si era sviluppato. Allora collaboravo con alcune radio e quotidiani locali, attività che ho sospeso quando sono andata ad Arezzo per finire gli studi. Sono tornata a Trento dopo un master in marketing e in quel periodo è arrivato in Trentino il Corriere della Sera, che è sempre stato il mio sogno, il mio quotidiano di riferimento. Ho iniziato a scrivere per loro mentre ancora lavoravo per un’azienda. Qualche mese dopo la nostra caporedattrice ha deciso di aprire una rubrica sulla ricette tipiche del Trentino-Alto Adige e mi sono proposta. Da lì è partita la mia specializzazione nel food&wine, che ho poi ampliato iniziando anche a scrivere di economia legata a questo settore. Ora ho due rubriche fisse sulle testate regionali del Corriere, una il sabato sugli appuntamenti enogastronomici in regione e l’altra, che si chiama “Di vino in vino“, dove recensisco cantine e vini.”
Dalla carta stampata agli altri media, il passo è breve…
“Nel 2014 mi hanno chiamato in RAI come wine tutor per la terza stagione di “Detto fatto” con Caterina Balivo e lo scorso ottobre è uscita una nuova serie su Prime Video USA, “A & F – Amy & Francesca a Gourmet and Wine Story” (un road trip tra Texas e Toscana alla ricerca di curiosità enogastronomiche). Ho scritto una decina di libri, sul vino in primis ma anche sulla cucina in collaborazione con grandi chef, e poi c’è il mio blog Geisha Gourmet con il suo profilo Instagram che mi ha portato, o almeno così dice Wine News, ad essere la seconda wine influencer in Italia. Diciamo che faccio cose, mi diverto attorno al vino.”
Come è avvenuta questa transizione dalla comunicazione tradizionale al mondo digitale?
“Mi sono avvicinata al digitale per curiosità. Ho aperto il blog per avere un contatto diretto con i lettori, perché mi ero stufata di vedere altri colleghi riprendere i miei articoli citandomi. Per quanto riguarda i social, non è che io abbia voluto fare l’influencer, anche se ricordiamoci che noi giornalisti dovremmo essere i primi e in teoria anche gli unici, da un certo punto di vista, veri influencer. Ci siamo dimenticati che il giornalismo è stato definito il “Quarto potere”. Diciamo che lo sono diventata, anche se non ci perdo poi chissà quanto tempo, pur cercando di fare comunque cose carine. È stata la somma di tutte le mie esperienze che mi ha portato ad avere questo seguito: la televisione, i libri, una wine web series su YouTube che ha fatto due milioni di visualizzazioni. Non mi sono svegliata una mattina decidendo di diventare influencer del vino.”
Quali sono le principali differenze di comunicazione tra i vari canali?
“Ogni canale ha la sua forma di linguaggio. Un articolo di giornale per la pagina di economia è già diverso da uno sugli appuntamenti enogastronomici nel fine settimana. Il linguaggio cambia anche in base al fatto che sia un quotidiano, un settimanale o un mensile. Il blog è uno spazio più libero secondo me, dove puoi scrivere quanto e come ti pare, in maniera solitamente più colloquiale, anche se io non l’ho mai fatto perché l’essere giornalista mi porta ad avere sempre un certo rigore. I social chiaramente prediligono una comunicazione che è in primis visuale, e i contenuti devono essere più incisivi, sicuramente non banali ma partendo sempre dall’immagine, basti vedere il successo che stanno avendo i reel. Dobbiamo considerare che la gente legge sempre meno e quindi è chiaro che il visuale è privilegiato. Lo stesso concetto è sempre valso anche per la televisione: io che l’ho fatta mi sono resa conto della forza mediatica che ha rispetto all’articolo giornalistico, che per me rimane sempre il massimo, ma in verità al grande pubblico si arriva in maniera massiccia sul piccolo schermo.”
La commistione tra i generi rischia di abbassare la qualità dei contenuti. Quali sono secondo te gli errori da non fare?
“Sicuramente il primo è confondere i linguaggi. Ho recentemente fondato una testata giornalistica, Fancy Magazine, nella quale gli articoli che scriviamo non saranno mai colloquiali, mentre sui nostri social il modo di comunicare è molto più smart. In questo momento nel mondo del vino il grosso problema è non sapersi scrollare di dosso quell’aura di “vecchiume” che ha sempre avuto e che ora non va più bene, quel modo di parlare ingessato, poco emozionale. Non voglio dire che la comunicazione vada lasciata agli influencer che non sono giornalisti, non hanno studiato enologia e hanno poca esperienza. Sto dicendo che bisogna smettere di pensare che se non parliamo come una scheda tecnica non siamo seri. Alla gente bisogna arrivare in maniera differente, dobbiamo creare emozione, curiosità e voglia di andare in quella cantina o comprare quel vino. Questo mondo ha parlato troppo spesso a se stesso, ai pochi operatori del settore. Il nostro compito di comunicatori è quello di rivolgerci al grande pubblico, che va catturato non con un elenco di sentori che non ritroveranno mai nel vino, perché intimorisce, ma con le emozioni. Questo ancora di più con i giovani, che sono i consumatori del futuro.”
Geisha Gourmet in questo senso ha precorso i tempi…
“Da quando è nata Geisha Gourmet, nel 2008, non ho mai raccontato il vino solo con i tecnicismi. Sono sempre stata molto emozionale e per questo ho anche lottato. Quando parlavo di vino e di cibo abbinati alla sensualità, alla seduzione, sembravano quasi eresie, mentre sappiamo benissimo che se si vuole sedurre una persona, non c’è miglior modo per conquistarla che preparare una bella cena e aprire una buona bottiglia di vino. I produttori hanno sempre avuto reticienza ad approcciarsi in questo modo più diretto, legato alla vita di tutti i giorni. Questo secondo me rimane il passo più grande che deve fare questo settore, cambiare il modo di comunicare.”
Questo approccio tipicamente femminile trovi che sia stato di ostacolo? Ti ha mai creato problemi?
“Di sicuro è stata una difficoltà. Quando io parlavo di queste cose nel 2008 mi prendevano per pazza. Oggi tutti parlano di comunicazione emozionale del vino, quindi ero sulla strada giusta. È stato un problema anche non rinnegare la mia femminilità. Se mi guardo in giro, ancora oggi molte donne in questo mondo si vestono in maniera quasi maschile, o comunque in modo da non dare nell’occhio, perché pensano che così siano più accreditate, che vengano prese sul serio. Io non rinuncerei mai a me stessa per essere più credibile. Se vuoi, mi prendi sul serio per come sono. Nonostante metta la minigonna e tacchi a spillo, non certo quando vado in vigneto ma alle degustazioni e anche in cantina sì, penso comunque di godere della stima dei più importanti produttori italiani. È stato più faticoso, ma è una cosa che tutte noi dovremmo fare, perché è vero che è la strada più difficile, ma è anche il modo in cui portiamo avanti noi stesse e le nostre peculiarità. Mortificarci perché pensiamo che altrimenti gli uomini non ci prendano sul serio, vuol dire piegarsi a una logica anacronistica. Non dico però che tutte le foto di influencer con la bottiglia e i seni in vista che si vedono sui social siano corrette. Questo è un altro discorso.”
A proposito di questo, come si fa a riconoscere sui social la differenza tra comunicazione e pubblicità?
“Si dovrebbe scegliere chi seguire in base al proprio stile, ai propri gusti. Un comunicatore ti deve piacere o meno, che stia vendendo qualcosa perchè viene pagato oppure che stia raccontando una storia perché gli è piaciuta e si è appassionato. Non ci obbliga il medico a seguire qualcuno sui social, quindi possiamo scegliere quale tipo di comunicazione ci piace. Questo vale anche per le cantine, che non dovrebbero affidare le proprie campagne di influencer marketing a qualcuno in base al numero di follower, ma ricercare uno stile il più vicino possibile al proprio. Se sei una cantina molto elegante e fai comunicare il tuo vino a un influencer che di eleganza ha poco o niente, sicuramente quella cosa stride, così come se ti rivolgi a un pubblico giovane usando testimonial di una certa età. Se parliamo di corpo femminile abbinato alle bottiglie, io sono stata la prima a farlo mettendo in gioco anche la mia immagine per dare forza al concetto di sensualità nel vino, ma se guardi le mie foto non ce n’è una che si possa ritenere volgare. È un gioco sottile quello tra l’essere sensuali e lo scadere nella volgarità, ma fa parte della natura di una persona. Purtroppo anche questo è molto legato a un discorso di pregiudizio e di mentalità, che rimane la cosa più difficile da cambiare, in particolare nel mondo del vino.”
Come nasce l’idea di un libro sul vino? Da dove si parte?
“Io sono sempre partita dal tema e di solito ho già in mente il titolo. La differenza non è scrivere di vino o di qualcos’altro, ma su cosa si vuole fare, perché un conto è un manuale come “Vino prêt-à-porter” e altra cosa è un romanzo che abbia come fil rouge il vino, come “Tutta Colpa Di Un Ruinart Rosè“. Sono due linguaggi totalmente differenti, due modi diversi di arrivare al pubblico. Con “Vino prêt-à-porter” ho voluto fare una guida al vino per le ragazze, proprio per rimarcare il fatto che le donne sono il target emergente del consumo del vino. Una guida dedicata a loro usando un linguaggio che, come si intuisce dal titolo, spiega il vino in modo facile, con parallelismi con il mondo della moda, l’amore e la vita di tutti i giorni. Quando si approccia la scrittura di un manuale sul vino, si pensa a ciò che la gente vorrebbe sapere, alle curiosità su questo mondo sconosciuto ai più. Per noi addetti ai lavori sembra tutto normale, ma per una persona comune persino sapere che bicchieri comprare a casa è un problema. In questo mi ha aiutato l’esperienza che ho fatto come wine tutor a Detto fatto, che mi ha fatto capire come dobbiamo sempre metterci nei panni degli altri, dei meno esperti. Ho voluto fare in modo che “Vino prêt-à-porter” potesse rispondere a qualsiasi domanda posta da un curioso del vino.”
Il romanzo è tutt’altra cosa come dicevi…
“Niente come un romanzo ci può far capire come il vino possa scrivere la playlist della nostra vita, esattamente come la musica. Ti ricordi la canzone del primo bacio, ma magari anche il vino che hai bevuto. Oppure il vino con cui hai festeggiato la laurea o la nascita di un figlio. Se sei appassionato, è qualcosa che ti accompagna in tantissime situazioni, anche per una semplice serata tra amiche oppure in un momento di solitudine o di tristezza.”
Qual è il media nel quale oggi ti senti più a tuo agio?
“Il mio obiettivo è quello di divulgare al meglio il nostro amato vino e credo che lo strumento più efficace resti sempre la televisione. Detto questo, sono comunque innamorata della scrittura, il mezzo che prediligo è sempre quello giornalistico e Fancy Magazine è nato per questo, per creare contenuti qualificati soprattutto online, perché quando la gente cerca qualcosa, lo fa prima di tutto in rete, restando comodamente a casa. Non ho nominato i social non perchè non ci creda, ma perché penso che siano complementari al resto. Se dovessi scegliere, investirei sempre prima nella stampa tradizionale, intesa anche come testate giornalistiche online, chiaramente. Chi investe solo sui social secondo me sbaglia.”
Credi che la televisione, nonostante venga snobbata dagli under 40, sia ancora uno strumento valido per comunicare?
“Assolutamente sì, nel senso che il target dai 40 anni in su va sempre tenuto in considerazione e poi ci sono le piattaforme, che raggiungono anche un pubblico più giovane. Senza dimenticare TikTok o Youtube che, pur facendo parte del mondo social e non di quello televisivo tradizionale, forniscono comunque contenuti video. La forza della televisione rimane ancora oggi fondamentale per chi vuole investire in comunicazione.”
Come dicevamo prima, il vino è legato a momenti e a ricordi. Il primo che ti viene in mente qual è?
“Di sicuro lo Champagne o il Metodo Classico in generale li associo a momenti molto piacevoli della mia vita. Tra i miei preferiti in assoluto ti direi quando riesco a bere la sangria fatta col Cava in uno dei miei posti del cuore a Formentera.”
Per chiudere, un consiglio alle giovani donne che vogliono avvicinarsi alla comunicazione del vino.
“Sicuramente studiare, avere competenza sia in termini di comunicazione che tecnici, di enologia. Questo è il mio consiglio, perché vedo in giro ancora tanti, troppi comunicatori improvvisati.”