enrico serafino

Enrico Serafino, l’arte della bolla in Alta Langa

Denominazione giovane ma con una lunga tradizione alle spalle, l’Alta Langa è oggi una delle eccellenze della spumantistica italiana. Tra le prime cantine a lanciare il progetto del Metodo Classico in Piemonte negli anni ‘90 c’era anche la Enrico Serafino. Abbiamo parlato dei quasi 150 anni di storia e della filosofia dell’azienda di Canale con Nico Conta, presidente dal 2017.

nico conta

NICO CONTA

Come ogni storia che si rispetti, partiamo dall’inizio…
“Il fondatore dell’azienda, Serafino Enrico, nasce nel 1855 in una famiglia benestante del Canavese, senza nessun legame con il mondo del vino. Da ragazzo, affascinato dalla visione di Carlo Gancia che nel 1865 produce il primo spumante italiano, decide di investire in quella che vede come un’attività puramente imprenditoriale. Si sposta dal Canavese verso il sud del Piemonte e si ferma a Canale, centro importante e rinomato per la produzione di frutta, ricco di servizi utili al suo progetto. Sceglie la sede, che ancora oggi è quella in cui lavoriamo, all’ingresso del paese verso San Damiano, ubicazione strategica perché poco distante dalla linea ferroviaria Torino-Genova. Decide di produrre vini diversi da quelli dei contadini dell’epoca, quindi il Metodo Classico, suo primo innamoramento, e poi Barolo e Barbaresco, tutti prodotti che necessitano di strutture importanti come le cantine sotterranee per il controllo della temperatura e per i lunghi affinamenti. L’altra idea molto chiara nella sua testa è la volontà di competere nel mondo. Detto oggi sembra scontato, ma se torniamo indietro di più di un secolo o anche solo agli anni ’80 del ‘900, le vendite di vino per la maggior parte erano limitate ad un raggio di circa 250 km dalla cantina, area in cui i costi logistici erano sostenibili. Serafino Enrico è un innovatore e un visionario: non essendoci una collina da scavare come in altre zone del Piemonte, deve costruire la sua cantina sotto terra e decide di svilupparla su due livelli, in modo da sfruttare la gravità due volte, una per trasferire il mosto e fermentarlo, l’altra per spostare il vino, sempre a caduta, nella zona di imbottigliamento e di affinamento. È tra i primi a costruire vasche di cemento all’interno della struttura e nei nostri registri abbiamo scoperto che già nel 1914 possedeva 250 barrique di tipo Bordeaux. Nel 1884 comincia a raccogliere i primi riconoscimenti internazionali fino ad ottenere quattro medaglie per i suoi vini all’Esposizione Universale del 1900 a Parigi. Le sue etichette vengono ancora oggi citate in alcune ricerche sul marketing dell’epoca, perché utilizzano una serie di elementi distintivi come la ciminiera fumante, quindi l’utilizzo della tecnologia, oppure il treno e il bastimento che gli permettono di spedire in tutto il mondo, addirittura in Cina e in America Latina. Enrico muore nel 1918 e subentrano i figli, che portano avanti la filosofia dell’eccellenza, tanto che nel 1919 il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, in Europa per la Conferenza di Versailles, si ferma in Piemonte, beve i vini di Enrico Serafino e li cita come di qualità straordinaria.”

…e arriviamo ai giorni nostri.
“Al compimento del secolo di vita la famiglia purtroppo perde tutta la sua fortuna e la cantina cambia proprietà più o meno ogni 10 anni, fino ad arrivare al 2014 quando Kyle Krause, imprenditore americano con origini siciliane, cresciuto con una visione del vino e del cibo italiana, decide di diventare produttore. Acquista dei vigneti a Serralunga d’Alba e rileva la Enrico Serafino da Campari, con l’obiettivo di utilizzare il diritto storico dell’azienda di produrre e vinificare le uve per Barolo e Barbaresco fuori dalla zona del disciplinare, ritrovandosi in cantina anche il Metodo Classico Alta Langa.”

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A proposito di Alta Langa, raccontaci il progetto e il vostro approccio…
“Il progetto Alta Langa nasce all’inizio degli anni ‘90 con l’idea di creare un’area dedicata al Metodo Classico in Piemonte, che deteneva il primato come primo spumante italiano, ma aveva bisogno di vigneti di pinot nero e in parte chardonnay per essere utilizzati nella produzione di spumanti di qualità. Enrico Serafino entra nel progetto nel 1994, dalla prima vendemmia sperimentale. Avendo alle spalle una storia spumantistica così lunga, le strutture, le conoscenze tecniche e le competenze della forza lavoro nella produzione dello spumante, è stato molto facile farlo diventare il progetto di punta dell’azienda. Il Metodo Classico è un vino di assemblaggio, quindi si decide immediatamente di selezionare una serie di parcelle da cui trarre le uve per l’Alta Langa. Oggi abbiamo un patrimonio viticolo di grande importanza: 57 parcelle in 41 località e 16 diversi comuni della denominazione. Se volessimo costruire un percorso che tocca tutte le parcelle, sarebbe lungo 170 km. Da un punto di vista altimetrico, abbiamo un differenziale di oltre 400 metri tra quella più bassa e quella più alta e questo ci dà tanti colori da usare nella nostra tavolozza. L’obiettivo era ed è quello di studiare i tre elementi caratterizzano un vigneto. La diversa percentuale di argilla, limo o sabbia, insieme all’esposizione e all’altimetria restituiscono risultati molto diversi in termini di freschezza della parcella; ad esempio avere un’altimetria elevata con esposizione a sud e molta sabbia può dare un vigneto più caldo di uno più basso ma esposto a nord e con molta argilla. In questo triangolo di elementi da considerare, Enrico Serafino ha fatto un grande lavoro di ricerca dell’equilibrio e della complessità. Infine, l’azienda vinifica ancora il 25% dei vigneti originari piantati come sperimentazione per la ricerca tra il 1991 e il 1994.”

Come avete sviluppato la vostra idea di spumante nel tempo?
“Nel creare uno spumante, il metodo ricopre un ruolo fondamentale. Siamo il primo produttore ad aver dichiarato di non utilizzare cognac e distillati nella liqueur d’expédition, oltre ad averne ridotto l’intervento il più possibile. Abbiamo prodotto il primo pas dosé in assoluto della denominazione, lo Zero nel 2004. Siamo stati anche i primi a prolungare gli affinamenti oltre i 5 anni, a dichiarare i propri rosé come de saignée e ad arrivare agli affinamenti estremi con un pas dosé che fa 140 mesi sui lieviti. Per chiudere, siamo arrivati al Perpetuelle Sbagliato, che è un metodo che abbiamo creato noi. La sperimentazione non è ancora terminata, perché continuiamo giornalmente a lavorare sulle innumerevoli possibilità che il metodo può offrire.”

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Il fascino dei lunghi affinamenti sul Metodo Classico è innegabile. Come è nata l’idea di spingersi oltre i 10 anni?
“Il 140 mesi nasce come progetto parallelo al nostro Zero, perché nel cercare di capire cosa poteva succedere affinando maggiormente i vini e riducendo i dosaggi, si è creata una cuvée che doveva durare nel tempo. Nel 2017 abbiamo testato internamente alcune bottiglie del 2004 con ottimi risultati e con il millesimo 2005, cioè nel ‘18, abbiamo deciso di proporre sul mercato questo pas dosé, con un atto se vogliamo di arroganza enologica, ed è stata una scommessa vinta. All’inizio tutte le cuvée erano composte da 85% di pinot nero e 15% di chardonnay, ma nel tempo si è sempre più delineata l’idea di rafforzare la presenza dell’uvaggio principale. Dal 2005 al 2011 abbiamo continuato a ridurre la percentuale di uve bianche, che arriverà a zero con il prossimo millesimo 2012. È una prova provata della longevità dei vini che provengono dall’Alta Langa che si può dimostrare solo con il tempo, il fattore che fa la differenza. È molto bello che oggi, così come succede in altre denominazioni, ci siano via via sempre più produttori che si cimentano su questa strada, facendo prodotti straordinari.”

Hai accennato prima al Perpetuelle Sbagliato. Di cosa si tratta?
“Dopo aver cercato di comprendere gli affinamenti sui lieviti nella fase di presa di spuma, li abbiamo testati prima del tiraggio, creando il nostro perpetuelle, che ovviamente è “sbagliato” perché non si applica come in altre parti del mondo. Essendo l’Alta Langa millesimato per disciplinare, se volessimo assemblare due millesimi perderemmo la denominazione. Abbiamo quindi creato questo metodo che separa le varie annate l’una dall’altra per un determinato numero di mesi, per comprendere al meglio cosa succede nei vins clairs affinandoli prima di andare in tiraggio. Per esempio il ‘18, che si basa sull’85% di vino di quell’annata, ha avuto il tiraggio nel ‘21, quindi dopo 30 mesi di affinamento sulle fecce fini in acciaio con battonage. Si è completata poi la cuvée con un 15% che è formato da millesimi ‘15, ‘16, ‘17, ‘19 e ‘20 che danno un’ulteriore caratterizzazione al prodotto.”

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La sostenibilità è un tema ormai imprescindibile. Come l’avete affrontato?
“L’Alta Langa è molto fortunata: i padri fondatori, mi piace chiamarli così, hanno tenuto in considerazione i prodromi di ciò che poi si è verificato, quindi il surriscaldamento e l’anticipazione delle vendemmie. Uno degli elementi della ricerca era proprio quello di salire in termini altimetrici, per testare nuovi territori in vista delle temperature crescenti. Non a caso siamo l’unica denominazione spumante al mondo che ha un limite altimetrico minimo ma non uno massimo. Con quello minimo si è data un’indicazione importante e dall’altra parte non essendoci un massimo, siamo aperti alla sperimentazione. La prova dei fatti sarà solo la sensibilità dei singoli produttori, che dovranno sempre tenere in considerazione i tre elementi: l’altimetria, l’esposizione e la composizione del suolo. Non basta questo per risolvere il problema, ma di sicuro è un anticorpo che era già insito nella denominazione. Come Enrico Serafino, abbiamo deciso di aderire per primi ai Disciplinari di Sostenibilità Viva, una certificazione che non considera solo le attività all’interno dei vigneti, quindi i prodotti che si usano e il rispetto della biodiversità, ma l’impatto che l’azienda ha su tutto ciò che la circonda: l’ambiente, il rapporto con la comunità e con i territori, il rispetto delle condizioni di lavoro, le modalità di trasporto e così via. Cerchiamo di essere virtuosi nel risparmiare l’acqua o nel consumare meno energia elettrica, stiamo inaugurando il nostro impianto fotovoltaico e fino ad oggi abbiamo usato energia elettrica da fonti rinnovabili. Abbiamo anche certificato il nostro prodotto più venduto, l’Oudeis. La nostra fabbrica è prima di tutto il vigneto: vigne sane in un ambiente curato restituiscono prodotti sicuramente superiori rispetto ad uno sfruttato e contaminato. Mi piace sottolineare che questo è anche l’ambiente nel quale cresciamo i nostri figli e non possiamo non pensarci.”

Non possiamo non parlare di chi questi vini li “crea”. Chi è il vostro enologo?
“Paolo Giacosa, in azienda dal 2007, è l’enologo che si occupa di tutte le nostre produzioni, uomo di grande competenza e soprattutto sensibilità. Non solo ha la conoscenza tecnica, ma anche un’inclinazione innata alla cura del dettaglio, che riesce sempre a trasferire in bottiglia. Uno dei complimenti più belli che gli è stato fatto da un degustatore di fama mondiale è che i vini di Enrico Serafino sono tutti diversi. Il segreto non è l’applicazione di una ricetta che funziona, ma l’essere curiosi e cercare di migliorarsi attraverso i piccoli cambiamenti, perché la differenza si fa sulle piccole cose e la qualità è figlia del dettaglio.”

enrico serafinoUna panoramica su numeri e mercati…
“Siamo un’azienda piccola, produciamo circa 350.000 bottiglie l’anno. Di queste, poco più di un terzo sono Alta Langa e il resto vini fermi. Il nostro fatturato è equamente diviso tra Italia e estero. Lo spumante ha un mercato principalmente domestico: per molti anni siamo andati in rottura di stock e non si poteva neanche immaginare di andare a vendere fuori un prodotto che non c’era. Sui mercati esteri siamo più forti con i vini fermi, il Barolo, il Barbaresco e il Gavi, un bianco con un ottimo potenziale di affinamento che consente di esprime al meglio la complessità del vigneto.”

Quanto è importante per voi la collezione storica?
“Crediamo molto sia nella collezione di vecchie annate, che nell’aspetto dei vini di riserva, che intervengono quando componiamo le cuvée o le liqueur per il dosaggio finale. È parte della nostra storia ed è anche un modo per testare l’evoluzione dei nostri vini. Le sorprese sono all’ordine del giorno, è molto bello aprire ad esempio venti annate di Zero, oppure un Barolo del ‘43 o del ’55. C’è curiosità nel vedere cosa è successo nel tempo e interrogarsi sulle differenze quando si va così indietro negli anni. Immaginiamoci cos’era il lavoro in vigna o in cantina nel 1940 rispetto a quello che può essere oggi, se pensiamo che con le stazioni meteo nei vigneti possiamo conoscere, stando seduti alla scrivania, l’esatta situazione di umidità, temperatura, bagnatura delle foglie. Così gli interventi sono estremamente mirati e si evitano i problemi del passato. Oggi siamo molto avvantaggiati da questo punto di vista, è il paradiso per chi fa il nostro lavoro.”

Un pensiero in conclusione…
“Mi piacerebbe concludere con una considerazione sull’uva, che è la vera protagonista dell’intero processo. Non abbiamo una singola coclea in tutta la cantina, le uve sono trattate intere sui tavoli vibranti di cernita: è il nostro modo di rispettare ciò che è stato fatto a monte. Mettiamo grande cura e attenzione nel nostro lavoro e ci piace essere molto razionali, perché oggi abbiamo strumenti che ce lo consentono e li utilizziamo il più possibile.”

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