
Fully e Martigny, l’enclave granitica del Vallese
La vallata del Vallese (Valais) si distende lungo la Svizzera sud-orientale, condividendo con l’Italia un esteso tratto di confine, puntellato dalle più spettacolari montagne dell’intero arco alpino, tra le quali svetta l’imponente piramide appuntita del Cervino, ammirabile nella sua imponenza dalla famosa località sciistica di Zermatt. il Cantone è interamente solcato dal corso del Rodano, bacino principale della regione, in quel sinuoso tratto che collega la sua sorgente con il lago di Ginevra.
A dispetto della latitudine e della sua antica origine glaciale, il territorio gode di un clima temperato, quasi mediterraneo, come ben attesta la copiosa vegetazione che ricopre i terreni meglio soleggiati: a inverni freddi seguono primavere ed estati calde, secche e ventilate, con limitatissima piovosità e contenuti livelli di umidità. Non solo, le alte vette proteggono la valle dalle fredde correnti provenienti da settentrione e le notevoli escursioni termiche tra il giorno e la notte, sommate all’orientamento est-ovest, assicurano pertanto un habitat perfetto per la coltivazione della vite.
Con i suoi oltre 5.000 ettari di vigneto, il Vallese si conferma la più grande regione vinicola del paese. La maggior parte di essi sono abbarbicati sui pendii affacciati a sud tra Martigny e Loèche, prevalentemente disposti sulla sponda destra del fiume a 450-800 metri di altitudine, ma nell’Alto Vallese i filari si snodano anche lungo piccole valli laterali e la cittadina di Visperterminen vanta – insieme alla valdostana Morgex – i vigneti più alti d’Europa, sfiorando nei suoi picchi la quota di 1.150 metri sopra il livello del mare.
Proprio in questa località sono stati rinvenuti reperti archeologici che attestano un primordiale attività vitivinicola da parte dei Celti già nel lontano 600 a.C. La costruzione dei tablars, terrazzamenti con muretti a secco di pietre senza malta, da parte dei successivi coloni romani, ha facilitato la diffusione su tutto l’areale di pratiche agricole di moderna viticoltura, gelosamente protette e conservate nei secoli bui del Medioevo dai monaci dei locali monasteri benedettini. Oggi, se allineassimo tutti i muretti di questa onerosa architettura verticale che scolpisce il suggestivo paesaggio locale, si estenderebbero per oltre 3.000 km. con una lunghezza pari alla metà della Grande Muraglia cinese.
Il tradizionale gobelet resta ancora il sistema di allevamento più diffuso e prevede l’utilizzo di pali rivolti verso il pendio. La lavorazione del terreno in primavera viene effettuata con l’aratro a sollevatore, legato a un motore in cima alla collina. Come ben sappiamo, i vigneti terrazzati sono i più impegnativi da lavorare e tutte le opere di manutenzione, nonché di gestione – vendemmie incluse – possono essere eseguite solo manualmente. Ma qui le pendenze sono tali, spesso sfioranti il 30%, che per poter raccogliere i grappoli e trasportare le gerle in cantina, diversi viticoltori si sono visti costretti a installare rotaie metalliche che collegano il punto più alto del pendio alla base dello stesso.
Questa viticoltura eroica, molto dispendiosa in termini di ore di lavoro e caratterizzata da rese naturalmente molto basse, privilegia la coltivazione dei vitigni autoctoni che nel tempo hanno saputo adattarsi a condizioni pedoclimatiche e sistemi di allevamento così estremi. La AOC (Appellation d‘Origine Controllé) regionale, disciplinata nel 1990 a tutela dell’elevato livello qualitativo della produzione locale, prevede 54 vitigni ufficiali più 6 sperimentali per un totale di 31 varietà bianche e 24 rosse. A ingarbugliare questo già intricato quadro si aggiunge la bizzarra decisione di utilizzare nomi differenti a quelli dei vitigni originari, scelta fino a ieri sostenibile visto che quasi tutta la produzione restava entro i confini nazionali, ma che oggi genera confusione nella crescente attività di esportazione sui mercati esteri.
Il Johannisberg non è altro che il Sylvaner, il Païen (chiamato anche Heïda) un biotipo locale del Savagnin Blanc, il Fendant un clone dello Chasselas, mentre la Malvoisie corrisponde al Pinot Gris, così come l’Ermitage alla Marsanne, con il preciso obbligo di non aggiungervi mai la lettera “H” iniziale a protezione dell’omonima prestigiosa AOC francese. Sul fronte dei vitigni a bacca rossa, l’Humagne Rouge corrisponde al nostro Cornalin valdostano, mentre il cosiddetto Cornalin vallese rappresenta in realtà un antico vitigno locale denominato Rouge du Pays. A fianco di questi troviamo anche una manciata di varietà dal nome univoco: le più rilevanti sono senza dubbio la Petite Arvine, l’Humagne Blanc, l’Amigne e il Gamaret, un incrocio tra Gamay e Reichensteiner. Chiudono il cerchio i tre nobili vitigni importati dalla confinante Francia, ovvero Pinot Noir, Gamay e Syrah.
Come se non bastasse, la superficie vinicola cantonale si compone di 80.000 piccole parcelle, appartenenti a 22.000 diversi proprietari. Questa incredibile frammentazione delle terre si deve alla vecchia normativa sul diritto ereditario che obbligava a spartire le proprietà terriere in parti uguali tra tutti i figli: nel giro di alcune generazioni ogni famiglia della vallata si è praticamente trovata in possesso di una piccola vigna. Oggi si contano circa 400 vignaioli che lavorano ancora in modo artigianale possedimenti quasi sempre di pochissimi ettari.
DOMAINE CHAPPAZ
Anche se il substrato geologico è fondamentalmente composto da rocce di tipo granitico, la natura dei suoli è piuttosto diversificata. Nella longilinea ed estesa area orientale, compresa tra i comuni di Varone e Saillon, si alternano superfici calcareo-argillose, terreni d’origine alluvionale e arene moreniche, ricche di sedimenti depositati dalla millenaria azione dell’antico ghiacciaio. Nella più contenuta enclave occidentale, oggetto di approfondimento in questo articolo, troviamo invece suoli poco profondi, pietrosi, con la roccia madre spesso affiorante.
Lo gneiss e il granito conferiscono una tonalità rossastra e rugginosa al terroir di Fully, piccolo centro abitato che vanta uno dei suoli più antichi delle Alpi, risalente a 500 milioni di anni fa. La Combe d’Enfer, capitale della Petite Arvine, costituisce certamente il luogo più emblematico del comprensorio: un anfiteatro naturale mozzafiato con un pendio vertiginoso di oltre 200 metri di dislivello che si arrampica verso il cielo, proteggendo al contempo in un amorevole abbraccio i suoi preziosi filari.
Il vigneto di Martigny, uno dei pochi sulla riva sinistra del Rodano, nel punto in cui il fiume vira a gomito verso Ginevra, è invece adagiato su una tortuosa conca montana. Sul lato occidentale la sommità del vigneto è ricoperta da ghiaioni scistosi cristallini del massiccio delle Alpilles, i cui terreni giovani e poco profondi, man mano che digradano a valle, si mescolano a suoli morenici e calcarei. Verso lo sperone della torre del Bâtiaz i terreni sono invece composti da scisti calcarei, mentre tutta la frazione di Bovernier è ricoperta da sedimenti, eredità di un lago formatosi alla fine di un’era glaciale, amalgamati con ghiaioni di gneiss e scisti cristallini provenienti dal Monte Bianco.
Marie-Thérèse Chappaz
In uno scenario di siffatta maestosità, i vigneti storici costituiscono un altro imprescindibile dettaglio che fa la differenza. Le secolari piante di Marsanne, attorcigliate come cavatappi sulla loro nodosa struttura, regalano uno spettacolo visivo di impagabile suggestione. Marie-Thérèse Chappaz le ha ereditate dal prozio Maurice nel 1987, anno in cui abbandona il tirocinio di ostetrica in ospedale e decide di laurearsi in viticoltura presso la rinomata scuola di Changins. La sua filosofia produttiva si basa sulla minimizzazione degli interventi umani e degli impulsi esterni. In vigna non usa prodotti chimici o fertilizzanti e in cantina ammette solo lieviti indigeni, senza zucchero e senza enzimi. Le perle sartoriali che realizza, coltivando con cura maniacale gli attuali dieci ettari di vigneto, ascrivono oggi la viticoltura di Fully nell’olimpo enologico planetario.
Con i suoi eleganti profumi di mughetto, pera matura e spezie orientali, impreziositi da sbuffi minerali e balsamiche inflessioni iodate, il sontuoso Grain Ermitage Président Troillet suggella una luminosa batteria di bianchi (unici nella regione affinati con fermentazione malolattica), in cui spiccano il floreale Fendant Coteaux de Plamont, l’agrumato Assemblage Blanc (consolidato blend secco di Sylvaner, Petite Arvine e Marsanne), il salino Grain Arvine e il setoso Grain Cinq, un complesso assemblaggio di Marsanne, Païen, Petite Arvine, Pinot Blanc e Sylvaner dall’esplosivo bouquet di pesca caramellata, nocciola e pepe bianco. Un discorso a parte spetta al Completer, varietà originaria dei Grigioni a rischio di estinzione che alcuni vignaioli locali stanno qui impiantando con risultati incoraggianti: la versione di Marie-Thérèse colpisce per le singolari note di fiori d’arancio, mela cotogna, cocco e incenso che si stagliano su una trama vivace, corposa e cesellata.
DOMAINE CHAPPAZ
Il fruttato Dôle La Liaudisaz introduce due superlative versioni di Pinot Noir in purezza, nelle quali il morbido passo felpato del voluminoso Grain Pinot Charrat fa eco all’elegante tessitura boschiva del più sottile Grain Pinot Chamoson, a dimostrazione della padronanza nel magnificare i pregi di ogni singolo terroir, il primo ubicato sull’argillosa sponda sinistra del Rodano, il secondo su quella granitica e pietrosa del versante opposto. Profondo, carnoso e speziato, il Grain Syrah Président Troillet esibisce un impressionante equilibrio aromatico ed entra in bocca con avvolgente morbidezza, ritrovando nel finale una nobile marcatura fruttata e pungenti affondi pepati.
Gli impianti di Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot sono protagonisti del Grain Noir, un rosso che strizza l’occhio più alla Loira che a Bordeaux e sfodera un sorso vellutato tra freschi sentori di dragoncello, ribes nero e germogli d’abete. La degustazione si chiude in bellezza con il rarissimo Grain par Grain Petite Arvine, pochi litri di purissimo nettare vinificato soltanto nelle migliori annate da uve completamente botritizzate, raccolte in sette passaggi nei vigneti e pressate goccia a goccia nella piccola pressa di legno: un esplosivo effluvio di bergamotto, frutto della passione, tè nero, torba e cereali tostati che ha conquistato il noto critico Robert Parker, inducendolo ad assegnare per la prima volta a un vino svizzero il massimo punteggio di 100/100.
Domaine Gérald Besse
Le sfaccettate anime del terroir di Martigny sono scolpite con magistrale efficacia nelle vibranti selezioni del Domaine Gérald Besse. Alla guida della tenuta troviamo un’altra giovane e determinata enologa, Sarah, figlia dell’intraprendente fondatore che avviò l’attività vinicola acquistando una piccola parcella nel 1979 e iniziando a imbottigliare in proprio nel 1984. Con gli attuali 20 ettari di vigneto, la tenuta affina oggi nella moderna cantina, progettata con rigorosi criteri gravitazionali, oltre 170.000 bottiglie all’anno in grado di spaziare su una trentina di etichette dal pregevole rapporto qualità/prezzo, rappresentative di tutte i principali vitigni regionali. Ognuno di essi è piantato nella località più congeniale a sublimarne la tipicità: i suoli granitici si rivelano perfetti per Petite Arvine, Gamay e Syrah, mentre la vena calcarea che si dipana dallo Château de la Bâtiaz permette a Pinot Noir e a Chasselas di esprimere tutta la loro proverbiale purezza.
L’apertura delle danze è affidata all’agile e minerale Fendant Les Bans, un bianco dall’attacco carnoso e dagli accattivanti sentori di frutta bianca matura. Tocca poi alla Petite Arvine Martigny deliziare naso e palato con un esuberante effluvio di gelsomino, pompelmo rosa e rabarbaro. L’Heïda Champortay sfodera le migliori caratteristiche della varietà giurassiana, grazie alle intense note di frutta tropicale rinfrescate da pungenti richiami erbacei, così come il Rielsling Martigny non rinuncia alle classiche pennellate idrocarburiche per tonificare il radioso bouquet di fiori gialli, bergamotto e miele d’acacia. L’Ermitage Martigny accende invece i riflettori su un inebriante bosco autunnale, dove bacche di rovo e tartufo bianco si avvicendano in un espressivo profilo aromatico che preannuncia il sorso di armoniosa progressione e intenso sapore.
FAMILLE BESSE
Ideale per accompagnare un’allegra grigliata domenicale, il Dôle esibisce un goloso cestino di piccoli frutti rossi che ritroviamo con pari succosità, ma ingioiellato da riverberi floreali e refoli mentolati, nel più complesso e setoso Pinot Noir Calvaire. Un naso dai toni salmastri e iodati, con cenni iniziali di cuoio e tabacco, poi di ciliegia matura, introduce l’Humagne Rouge Martigny, un rosso sapido e teso dalla croccante trama tannica, ma spetta al conclusivo Cornalin Domaine St-Théodule – della linea parcellare “Les Serpentines” – interpretare la parte del grande protagonista del percorso d’assaggio: al denso bouquet, dove si mescolano nuances di violetta, sambuco, susina, cacao e spezie, risponde un attacco vellutato, un passo elegante e un lungo finale, illuminato da fulgidi tocchi grafitici.
Prima di congedarmi, Gérald mi ha accompagnato a visitare l’incantevole villaggio di Plan Cerisier, un agglomerato rurale di edifici con tetti in lastre di pietra, i più antichi dei quali risalgono alla seconda metà del Seicento. Utilizzate solo nel periodo della lavorazione delle viti e durante la vendemmia, tutte le singolari abitazioni, dette ‘mazots’, ospitano due famiglie che dispongono così di uno speculare piano abitativo e di una piccola cantina per l’affinamento del vino (adibita a magazzino per gli attrezzi nel periodo invernale). Negli stretti vicoli di questa oasi di bellezza e tranquillità si respira ancora una magica atmosfera rurale d’altri tempi e, quando inforchi al volante dell’auto i primi tornanti per rientrare in Italia, ti accorgi di aver lasciato un pezzo di cuore in questo angolo di paradiso.
Photo credits: Guillaume Bodin – Olivier Maire