Modena, piccole cantine crescono

Il vigneto modenese, se escludiamo l’area montana dell’Appennino Tosco-emiliano sopra gli 800 metri di altitudine, copre praticamente tutta la superficie provinciale e si estende dal confine con la provincia lombarda di Mantova al comune di Serramazzoni, abbarbicato sui primi contrafforti appenninici sotto l’imponente Monte Cimone che separa l’Emilia dalla Toscana.

In questo territorio il termine vino è sinonimo di lambrusco e proprio questa varietà di origini antichissime ne scandisce la geografia con le sue tre denominazioni più importanti: il Lambrusco Salamino di Santa Croce nella bassa pianura più settentrionale intorno a Mirandola, il Lambrusco di Sorbara nel cuore della provincia tra San Prospero e Castelfranco Emilia e il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro nella zona collinare e sub-collinare che da Sassuolo corre fino al fiume Panaro. Esiste poi una quarta più generica denominazione Lambrusco di Modena che comprende tutto il territorio vitato, incluse le aree periferiche di Finale Emilia e Serramazzoni.

I vini di pianura si caratterizzano per la nitidezza dei profumi esuberanti e dei sapori asciutti conferiti alle uve dai terreni ricchi di sali minerali, mentre quelli concepiti sugli argillosi rilievi pedemontani a sud della via Emilia esprimono sottili sentori floreali al naso e intense note fruttate in bocca. Le DOC Modena Lambrusco e Modena Lambrusco Rosato, declinate a loro volta nelle due versioni frizzante e spumante, prevedono l’utilizzo parziale o totale di ben tredici differenti cloni di lambrusco, di cui i più utilizzati sono Grasparossa, Salamino, Sorbara, Marani, Maestri, Montericco, Benetti, Oliva e Lambrusco a foglia frastagliata (Enantio).

Tale preponderante produzione è affiancata da due DOC bianche, Modena Pignoletto e Modena Bianco (frizzante o spumante), quest’ultima da blend di uve trebbiano, pignoletto e montuni. Due peculiarità che accomunano tutte queste etichette sono il tradizionale metodo di affinamento di contadina memoria con rifermentazione naturale in bottiglia e il generalizzato assemblaggio delle numerose varietà autoctone, spesso già mescolate tra di loro nel medesimo vigneto. In somma vini schietti e vivaci, le cui caratteristiche sono ben riepilogate dalle seguenti parole del più illustre veterano del territorio, Vittorio Graziano: “Non ci sono mai state qui vigne costituite da un solo vitigno, figuriamoci da un solo clone! Questa è una follia dei nostri tempi. Io continuo per la strada che ho imparato da mio padre e da mio nonno”.

Dinamici produttori come Paltrinieri con il suo elegante Sorbara Radici, Cantina della Volta con i suoi deliziosi spumanti e il sopracitato Vittorio Graziano con i suoi vini naturali che non temono di sfidare il tempo – a dispetto delle più diffuse credenze – hanno impresso una quindicina di anni fa la necessaria spinta verso la realizzazione di lambruschi di qualità, in grado di far dimenticare tante tristi produzioni della seconda metà del secolo scorso. La crescente attenzione al fenomeno da parte di pubblico e stampa specializzata ha indotto giovani vignaioli a uscire allo scoperto per provare a giocare un ruolo da protagonisti con etichette artigianali ma al contempo autentiche ed espressive.

Vi raccontiamo qui di seguito la storia e i progetti di due piccole e ambiziose realtà, accomunate da euforico entusiasmo e incoraggianti risultati.


Perseveranza – Bomporto (MO)

Tre anni fa Matteo Verri convince il suocero Luciano, funambolico burattinaio che porta in giro per la penisola il suo scanzonato teatrino delle maschere tradizionali modenesi, a mettergli a disposizione un piccolo appezzamento di proprietà e pianta una vigna di varietà bianche locali con un tradizionale impianto Bellussi, alto e non meccanizzabile. Insieme all’amico e socio Fabio Mancini, appassionato di tecniche di vinificazione, allestiscono il garage adiacente con tutte le essenziali attrezzature di cantina.

La squadra iniziale e il campo da gioco sono fatti, ma la vigna richiede qualche annetto per diventare produttiva e i ragazzi scalpitano per entrare quanto prima nel vivo del progetto. Decidono pertanto di acquistare in zona uve selezionate e da un assemblaggio di predominante lambrusco di Sorbara con Grasparossa, Salamino e piccole quote di trebbiano modenese e montuni nel 2018 nasce il VinoZero, successivamente ribattezzato Sorbarino, un verace rosso naturalmente mosso dai nitidi profumi di violetta e ciliegia su una trama salina e rinfrescante che diventa subito il cavallo di battaglia della produzione, attualmente limitata all’autoconsumo.

La maggior parte dei grappoli di trebbiano vengono in parallelo destinati alla creazione di un beverino bianco floreale e agrumato che prende il nome di 3-Tre, a sottolineare il paritetico blend di trebbiano modenese, trebbiano di Spagna e trebbiano di Romagna. A questo si affianca oggi Il Realista, un brillante trebbiano di Spagna in purezza che sprigiona un voluttuoso bouquet di miele, mela golden e arancia candita. Con gli acini di ben dodici differenti vitigni (autoctoni e non) provenienti da un ostico impianto collinare i due si cimentano anche nella realizzazione di un rosso fermo – il sanguigno Vrespinio – che, per quanto ancora molto tannico e introverso, mostra ampi margini di miglioramento, ben delineati dai nobili sentori di piccoli frutti neri e di erbe officinali.

Nel 2019 arriva il classico colpo di fortuna inaspettato che consente ai nostri di acquistare e accudire le uve della suggestiva vigna, somigliante a una foresta incantata, piantata negli anni Venti nel centro storico di Sorbara. La gamma si completa così con Il Centenario, un delizioso Lambrusco di Sorbara dalla fascinosa veste rosa salmone e dagli intriganti richiami di rosa canina e melograno. Tutti i vini fermentano spontaneamente in vetroresina dopo un contatto con le bucce di circa due giorni per i bianchi e di quattro o più giorni per i rossi.

La filosofia produttiva è imperniata su cinque principi volti a esaltare la naturale quintessenza dell’uva, raccolta per scelta in vigne vecchie e complicate: lieviti indigeni, nessun controllo della temperatura, nessuna chiarifica, nessuna filtrazione, nessun utilizzo di solfiti.


Podere il Saliceto – Campogalliano (MO)

Gian Paolo Isabella, thaiboxer professionista fino al 2001, si fa le ossa nel mondo del vino lavorando un paio d’anni alla corte di Vittorio Graziano. Nel 2005 decide di intraprendere la sua avventura imprenditoriale e trova nell’agronomo Marcello Righi lo sparring partner ideale con cui acquistare una cascina e gli appezzamenti vitati adiacenti nella Riserva Naturale del fiume Secchia a Campogalliano. I due soci condividono la strategia di puntare su etichette verticali e scelgono la strada di vinificare in purezza le varietà rosse lambrusco di Sorbara, lambrusco Salamino, lambrusco Benetti e malbo gentile che pertanto coltivano in vigneti distinti ad alta densità d’impianto per un opportuno contenimento delle rese.

Tra i filari degli impianti più vecchi sono anche presenti ceppi di merlot, presumibile retaggio dell’antico insediamento di tribù provenienti dal sud della Francia in quel “Campo dei Galli” a cui si deve l’odierno nome della cittadina. I risultati non si fanno attendere e i vini conseguono il plauso incondizionato di consumatori e stampa specializzata, inanellando una meritata sfilza di attestati e premi lusinghieri. Le 10.000 bottiglie annue degli esordi oggi sono diventate 50.000 e i vigneti di proprietà contribuiscono a due terzi della produzione totale.

Il Lambrusco di Sorbara Falistra è il portabandiera della pregevole batteria e, anno dopo anno, stupisce per la crescente eleganza ben sottolineata dalla vibrante trama minerale e dai persistenti profumi di fragolina di bosco e amarena. Le uve lambrusco di Sorbara confluiscono anche nel Metodo Classico Ringadora, uno spumante sapido e affilato che matura 24 mesi sui lieviti e sprigiona delicati sentori floreali. Un analogo percorso produttivo viene riservato ai grappoli di malbo gentile, protagonisti di uno speziato rosso fermo in cui prevalgono le note di ciliegia matura e rabarbaro (Emilia Rosso Malbo) e di un ramato spumante dalle curiose sfumature di foglia di pomodoro e arancia candita (Metodo Classico Malbolle).

Il Lambrusco di Modena Albone è lo storico vino frizzante secco ottenuto da lambrusco Salamino in purezza con metodo charmat, scelto per preservare la pulizia e la nitidezza dei caratteristici profumi di frutti di bosco, mentre l’ultimo arrivato Cichin gioca sul tipico contrasto aromatico tra lampone e pompelmo rosa del poco diffuso clone Benetti. Le varietà trebbiano modenese e sauvignon blanc sono infine le mattatrici dell’unico bianco aziendale, il Bianco dell’Emilia Bi Fri, un dissetante frizzante secco rifermentato in bottiglia dagli accattivanti sentori di biancospino, scorza di limone e mela verde, compenetrati da una fresca vena iodata.


Modena
, antica capitale del Ducato Estense, deve la sua fama alla Cattedrale romanica (una sorta di fumetto ‘ante litteram’ inciso nella pietra delle facciate sulla biblica genesi dell’umanità), ai formidabili motori e alla raffinata gastronomia. Quest’ultima vanta una storia millenaria, celebrata fin dai tempi del Boccaccio per gli squisiti tortellini e il pregiato parmigiano-reggiano e oggi mirabilmente consacrata dallo chef Massimo Bottura che – con la sua centralissima Osteria Francescana – è salito negli anni scorsi sul podio più alto nella classifica riservata ai migliori ristoranti del mondo. Sono proprio le piccole osterie l’anima del territorio e molti giovani ristoratori proseguono l’opera di valorizzazione della tradizione, rivisitando con intelligenza i piatti tipici e abbinandoli opportunamente con i vini locali, di cui annoverano fornitissime selezioni che consentono di spaziare a tutto tondo tra le migliori etichette della provincia.

Un indirizzo cittadino imperdibile è Il Luppolo e l’Uva, creatura del vulcanico Stefano Corghi coadiuvato in cucina dalla talentuosa Marisa Facci. La costante ricerca di prodotti stagionali di assoluta qualità ed “eticamente sostenibili” è la pietra angolare di una cucina istintiva dove i ricordi d’infanzia si intrecciano a felici suggestioni estemporanee. Il flan di zucca con crema al parmigiano, i ravioli di cotechino in crema di fagioli, i tortellini in brodo, i “nuggets” di zampone con maionese all’aceto balsamico tradizionale sono piatti variopinti e ricchi di sapore, ma sempre leggeri e profumati. Chi ama il mare può soddisfare i propri desideri con gli intriganti tortellini di anguilla e pane nero su crema di patate e bottarga di muggine, senza rinunciare alla superba grand crudités di crostacei e ostriche.

A due passi dal Podere il Saliceto, a Campogalliano è invece d’obbligo pranzare all’arioso e bucolico Ristorante Laghi, grazioso rifugio rustico immerso nel Parco del Secchia in riva ai placidi laghi Curiel. Il patron Paolo Reggiani delizia il palato degli avventori con una cucina emiliana creativa in cui il patrimonio culturale modenese viene reinterpretato con cura dei dettagli e un pizzico di ironia. A fianco di creazioni più estrose, come il risotto con gli asparagi e il tè nero o il petto d’anatra leggermente affumicato con i fichi caramellati, troviamo classici intramontabili tra i quali spiccano l’insuperabile gnocco fritto che accompagna squisiti salumi regionali, la magistrale tagliatella con la cinquecentesca salsiccia gialla di Modena e la provocatoria cotoletta alla geminiana (una sorta di risposta alla celebre ricetta petroniana dei ‘cugini’ bolognesi).

Photo credits: Roberto Sironi

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