Puy-de-dôme, la frontiera delle pietre laviche
Le distese di vulcani spenti che modellano il Puy-de-Dôme rappresentano un fenomeno morfologico senza paragoni in tutto il resto del continente europeo e dal 2018 l’intera zona è stata riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Il dipartimento prende il nome dalla vetta più alta, raggiungibile a piedi con una docile passeggiata o comodamente seduti sul folcloristico trenino a cremagliera, dalla cui sommità si ammira un arioso panorama a trecentosessanta gradi sui morbidi rilievi montuosi circostanti.

Perignat-sur-Sarlieve
Questo angolo del Massiccio Centrale francese copre l’intero settore centrale dell’Alvernia, un’impervia regione disseminata di innumerevoli gioielli medievali e rigogliosi paesaggi silvestri, ma purtroppo fino ad oggi poco rinomata per la sua peculiare produzione vinicola. Senza dubbio paga pegno alla scomoda attiguità con i più blasonati vigneti di Borgogna, Rodano e Loira. Le pubblicazioni di settore tendono proprio ad accorparla a quest’ultima, soprattutto perché la denominazione più conosciuta resta quella storica di Saint-Pourçain-sur-Siole nell’adiacente distretto settentrionale dell’Allier.
Ciò nonostante, il Puy-de-Dôme annovera la più estesa area vitata del compartimento e si distingue per l’unicità della sua conformazione geologica, particolarmente vocata alla realizzazione di vini freschi e verticali. Le sottovalutate potenzialità del caratteristico suolo lavico – che trova una maestosa sintesi artistica nella gotica ‘cattedrale nera’ del capoluogo Clermont-Ferrand – hanno di recente finalmente acceso l’attenzione degli operatori di settore e l’entusiasmo dei coltivatori locali. Sembra di rivivere il percorso della nostrana enologia etnea, fino a trent’anni fa bistrattata e oggi fiore all’occhiello dell’intera viticoltura siciliana. Paragone oltremodo calzante se consideriamo le rilevanti analogie tra i due terroirs, entrambi forgiati dalle colate basaltiche.

Neschers
Dall’altopiano di Gergovie alla pittoresca Valle dei Santi di Boudes i vigneti affondano le radici nei ghiaioni di piccoli sassolini neri, chiamati “pietre pepate” per la somiglianza con i grani dell’omonima spezia, scivolati nel corso dei millenni sugli antichi sedimenti marnosi e calcarei. Come sottolinea il geologo Patrick Marcel, “Basalti, peperiti, pomici e colate in inversione di rilievo hanno contribuito a generare una eccezionale diversità di terroir” che marchia a fuoco ogni vino di ancestrale mineralità. Il principale punto di riferimento ampelografico è sempre stata la Borgogna con Chardonnay, Gamay e Pinot Noir che giocano il ruolo del leone, affiancati da Syrah, Pinot Gris, Sauvignon, nonché dall’autoctono vitigno a bacca bianca Tressallier.
La generica AOC Côtes d’Auvergne copre oltre due terzi della superficie vitata ed è affiancata da cinque più pregiate denominazioni locali che, dopo il suffisso Côtes d’Auvergne, indicano la relativa zona di produzione: Madargue, Châteaugay e Chanturgue sopra Clermont-Ferrand; Corent e Boudes nella vocata valle vulcanica a sud del capoluogo che costeggia il fiume Allier. Tutte e sei prevedono la produzione di vini bianchi, rosati e rossi da predefiniti assemblaggi dei suddetti vitigni. La nuova IGP Puy-de-Dôme è nata qualche anno fa proprio con lo scopo di consentire ai produttori la vinificazione in purezza della varietà Pinot Noir, altrimenti relegata dal disciplinare a una quota paritetica o minoritaria nel blend con il Gamay.
Andiamo ad assaggiare i vini di due cantine rappresentative che sintetizzano da un lato i caratteri stilistici della gloriosa tradizione secolare, dall’altro l’audace impronta innovativa dei nuovi protagonisti.
Desprat Saint Verny – Veyre-Monton

La prima batteria comprende una dozzina di etichette fruttate dalla sorprendente mineralità e dal pregevole rapporto qualità/prezzo che le rende appetibili per il consumo quotidiano o per spensierati momenti di convivialità. Il livello qualitativo cresce nella seconda fascia grazie a vini più strutturati e potenti, alcuni vinificati in purezza, altri rappresentativi dei Cru Corent, Boudes, Châteaugay e Chanturgue. Il vertice del portafoglio è condensato nella collezione Magma, dove ogni bottiglia esprime la propria originalità ed esalta l’anima minerale del rispettivo terroir di provenienza.

L’assemblaggio paritetico dei due vitigni a bacca rossa caratterizza il conclusivo La Légendaire Rouge, storica etichetta affinata dodici mesi in botte e successivamente “ibernata” per altri sei mesi nelle tradizionali casupole d’ardesia che i pastori utilizzano durante il pascolo estivo d’altura: rotondo e succulento, si fa apprezzare per il travolgente bouquet di mirtillo e ciliegia sotto spirito e per il sorso austero ma al contempo gastronomico.
Domaine Miolanne – Neschers
Laure Cartier, figlia di un noto viticoltore provenzale e laureata in Eco-consulenza, e l’esperto enologo Jean-Baptiste Deroche si conoscono una quindicina di anni fa e comprendono subito di essere fatti una per l’altro. Animati dalla comune passione per la sostenibilità ambientale, sono convinti sostenitori che il rispetto per flora e fauna transiti ineluttabilmente dalla minimizzazione degli interventi umani sia in vigna sia nei processi di vinificazione.

Più vibrante e affilato, lo Chardonnay trasuda vulcanicità da tutti i pori e il vitigno libera la potenza degli agrumi insieme a un fresco retrogusto ammandorlato e a una pennellata finale di vetiver. Il Volcane Rosé anticipa con passo felpato l’esotica aromaticità del Volcane Rouge, anch’esso da blend paritetico di Pinot Noir e Gamay, capace di sfoderare sul vestito rosso rubino un tourbillon di frutti di bosco, cacao e tabacco. Profumi che ritroviamo nel raffinato bouquet del setoso Pinot Noir in purezza, dove la turgida frutta rossa abbraccia intriganti sfumature crepuscolari di incenso e sottobosco.

Photo credits: Roberto Sironi
