
Borghi del vino: il Barbaresco di Treiso
“Intorno a Treiso e dentro non trovarono nemmeno un borghese. Partigiani non se n’aspettavano, perché dalla caduta di Alba il paese mancava di guarnigione. Si fermarono nel mezzo della piazzetta della chiesa e stettero a gambe piantate larghe a guardare ciascuno il suo punto cardinale”. Scriveva così Beppe Fenoglio in un suo celebre racconto. “Da quella piazzetta si domina un po’ di Langa a sinistra e a destra le colline dell’Oltretanaro dopo le quali c’è la pianura in fondo a cui sta la grande città di Torino. I vapori del mattino si alzavano adagio e le colline apparivano come se si togliesse loro un vestito da sotto in su.”
Nel cuore di pendii puntellati da viti a perdita d’occhio, il piccolo borgo, nato come strategica stazione di posta degli albesi e teatro di una nota pagina della resistenza partigiana all’occupazione nazista, si snoda lungo uno degli angoli più suggestivi del fiabesco paesaggio langarolo, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2014. In antichità vi transitava la strada romana di collegamento tra Piemonte e Provenza e il toponimo indica che proprio qui era posta la pietra del terzo miglio. L’agglomerato urbano conta una manciata di edifici, una chiesa barocca e una amena piazzetta che attira numerosi visitatori ogni anno, per il meraviglioso belvedere sui sinuosi filari che si snodano con aggraziata armonia lungo la vallata.
Un’altra formidabile attrazione turistica è rappresentata dall’imperdibile ristorazione locale, forte di ben tre osterie tradizionali di alto livello nel centro abitato – Osteria dell’Unione, Osteria Le Rocche e Trattoria Risorgimento – e dell’innovativo ristorante stellato La Ciau del Tornavento del talentuoso chef Maurilio Garola. La quasi totalità della superficie municipale rientra nel territorio regolamentato dalla Docg Barbaresco che condivide con i confinanti comuni di Barbaresco e Treiso, oltre alla limitrofa frazione albese di San Rocco Seno d’Elvio.
Denominazione vinicola di grandissimo pregio, Barbaresco vanta una storia più recente rispetto a quella del Barolo, nonostante la varietà Nebbiolo sia stata da sempre coltivata nel suo territorio. Furono i liguri Stazielli a portare la vite in queste zone ancor prima dell’arrivo dei Romani e il suo nome deriva proprio dalla lingua di questa popolazione che annoverava molti termini con la desinenza “resco”. Qualche secolo dopo Tito Livio scrisse addirittura che i Galli si erano spinti fino in Piemonte perché attratti dalla squisitezza del vino Barbaritium.
Nel Duomo di Alba è ancora visibile una raffigurazione dell’edificio comunale di Barbaresco sovrastato da una coppa di vino, immagine mutuata da Angelo Gaja per impreziosire l’etichetta del suo eccelso Sorì San Lorenzo. I registri del Castello di Neive contengono alcuni documenti del 1767 che attestano la coltivazione del Nebbiolo in località Santo Stefano. Quando pochi anni dopo l’esercito austro-russo sconfisse i francesi nelle vicinanze, i suoi comandanti pretesero in premio il vino di questo areale. Presso la Cascina Drago di San Rocco nel 1870 fu ufficialmente imbottigliata la prima bottiglia di Barbaresco, ancora oggi integra.
Ritenuti dai torinesi vini da servire in momenti conviviali di prestigio ma non nelle grandi occasioni, i Barbaresco sono in genere meno corposi dei Barolo, ma altrettanto raffinati ed eleganti, con un profilo che esalta i tratti fruttati e floreali del vitigno, predominanti sui sentori balsamici e speziati. Il disciplinare prevede un invecchiamento di 26 mesi per le versioni base e di 50 per quelle Riserva, in entrambi i casi con una maturazione in legno di almeno 9 mesi, esattamente la metà del periodo minimo previsto per il blasonato cugino.
La grande svolta nella storia del Barbaresco è stata la pionieristica modifica del disciplinare avvenuta nel 2007 con l’istituzione delle Menzioni Geografiche Aggiuntive, che consentono di esplicitare in etichetta il territorio specifico di provenienza delle uve con cui è prodotto quel vino, secondo una logica che ricalca quella dei “cru” francesi. Il comprensorio ne vanta oggi 66, di cui 20 ubicate nel territorio comunale di Treiso, dove spiccano celebri località come Marcarini, Pajorè, Rizzi, Nervo, Valeirano e Bernadot.
Dal punto di vista geologico l’areale del Barbaresco non si differenzia sostanzialmente da quello del Barolo. Tutta la superficie è di origine Miocenica (Era Terziaria o Cenozoico) e di formazione marina, ad eccezione delle aree alluvionali di origine Olocenica (Era Quaternaria o Neozoico). Il suolo è costituito prevalentemente da marne calcaree, depositi sedimentari che salirono in superficie con il graduale sollevamento del fondo del mare primordiale che copriva il bacino del Po. Tale complessità geologica risalente a diversi milioni di anni fa si rivela formidabile per l’allevamento del Nebbiolo, una varietà che non impone la propria personalità ma predilige esprimere quella del terreno su cui cresce.
A differenza dei terreni tortoniani ricoperti da marne bluastre calcaree del comune di Barbaresco e dell’adiacente zona di Neive, quelli di Treiso appartengono alle “formazioni di Lequio” che si caratterizzano per la stratificata alternanza di marne grigie compatte e sabbia. Punto di incontro di cinque lunghe colline, il territorio alterna valli profonde e di media larghezza, con frequente presenza di calanchi generati dal fenomeno erosivo dell’acqua. La superficie vitata si estende per circa 187 ettari a un’altitudine sul livello del mare compresa tra 220 e 430 metri, altro fattore distintivo rispetto a quelle di Barbaresco e Neive che non superano mai la soglia dei 300 metri. Tali differenze scolpiscono a Treiso vini più morbidi e fruttati, dove finezza ed eleganza prevalgono su struttura e tannicità.
Il borgo di Treiso è facilmente raggiungibile da Alba salendo dapprima alla località Altavilla e poi alla frazione Pertinace, dove ha sede la storica cooperativa vinicola e nelle cui vicinanze operano due produttori che hanno recentemente tagliato il traguardo della quarta generazione. Il più noto Fiorenzo Nada annovera nella sua gamma ben quattro versioni di Barbaresco, tra cui le pregevoli selezioni Manzola, Monteribaldi e Rombone, che si connotano per gli ampi bouquet floreali e il sorso caldo e avvolgente ma al contempo sapido e speziato. La piccola Cantina Flori ha invece da sempre optato per la tradizionale convergenza di tutte le uve in un’unica versione con l’obiettivo di armonizzare il carattere distintivo dei singoli terroir: sul brillante abito rosso rubino si alternano sentori di frutti di bosco maturi e fiori rossi, mentre la fine trama tannica aggiunge in bocca delicate sfumature di cedro e liquirizia.
Proseguendo sulla Strada Provinciale 321 ci imbattiamo poi nella Cantina Rizzi, abbarbicata sulla meravigliosa collina dell’omonimo cru. Nel versante orientale che scivola verso la località Nervo, le marne bianche argilloso-calcaree risultano più magre e sabbiose, mentre nel settore occidentale – in corrispondenza del vigneto Boito – la composizione del suolo marnoso calcareo si caratterizza per una maggior presenza di argilla. Questa varietà di terreni consente alla famiglia Dellapiana di mettere a punto quattro versioni di profondo spessore e composita personalità, in linea con la filosofia produttiva da oltre cinquant’anni improntata su classicismo e tradizione.
Apre le danze il vino bandiera della batteria, un puro e sottile Barbaresco Rizzi che ingolosisce fin dal primo sorso per la fragranza del frutto silvestre e l’equilibrato connubio di freschezza, intensità e lunghezza. Spetta invece al Barbaresco Nervo incarnare la proverbiale eleganza del vitigno, sfoderando una trama fitta e minerale su cui si librano suadenti profumi di lampone, mentuccia e cannella. Più spalluto ma non meno armonico, il Barbaresco Pajorè seduce con tonificanti sbuffi balsamici (sale marino ed erbe officinali) che ingioiellano il succoso sapore di fragolina di bosco e il piccante retrogusto speziato. Dulcis in fundo, il Barbaresco Rizzi Riserva Vigna Boito impone la sua autorevolezza grazie alla struttura austera e muscolosa che lo destina a funambolici invecchiamenti in bottiglia: di intenso colore granata, in gioventù esibisce un ampio profilo aromatico che spazia dai petali di rosa al pepe nero, lasciando già affiorare note evolutive di cuoio, chiodi di garofano, liquirizia e cioccolato fondente. Questa cuvée a edizione limitata è impreziosita dai bucolici acquerelli dell’enologo Enrico che campeggiano sull’etichetta di ciascuna annata prodotta e personalizzano con un raffinato tocco artistico ogni singolo millesimo.
Lasciandosi alle spalle lo scosceso anfiteatro naturale di Nervo, si entra in paese e all’imbocco del corso principale una moderna e attrezzata sala degustazione, gestita con perizia e gentilezza dalla sommelier Alessia, accoglie i visitatori nella storica Cantina Lodali. Nel 1939 Giovanni, contadino come i propri genitori, inizia a vinificare per i clienti della sua osteria, l’unico punto di ristoro nella allora piccola borgata di Treiso e finita la guerra vi costruisce a fianco anche casa e cantina. Nel 1955 il figlio Lorenzo si diploma alla Scuola Enologica di Alba e nel 1958 imbottiglia la prima annata dei cru Barbaresco e Barolo. Tre decenni dopo il figlio Walter intraprende lo stesso percorso e porta nuova linfa vitale in azienda: rinnova le attrezzature, perfeziona le tecniche di produzione e vinifica parcella per parcella con l’obiettivo di valorizzare le peculiarità di ogni singolo terroir.
Le Rocche dei Sette Fratelli, spettacolare voragine nel terreno di quasi nove ettari che si spalanca a strapiombo pochi tornanti dopo l’abitato, oggi tappa imprescindibile della Strada Romantica delle Langhe e del Roero, danno il nome al Barbaresco realizzato con le uve di vari vigneti di proprietà ubicati nel comune di Treiso. Di colore rosso granata intenso ma molto luminoso, il vino si presenta armonico e muscoloso con eleganti sentori di petali di rosa, caramella al lampone e ciliegia, arricchiti da intriganti sfumature di rabarbaro e tabacco biondo nel lungo e persistente finale. Più profondo, verticale e complesso, il Barbaresco Giacone Lorens – omaggio al nomignolo piemontese del padre – stupisce per l’ampiezza del bouquet sensoriale, dove un fragrante cestino di frutti di bosco si amalgama con aristocratici aromi di violetta, liquirizia, cappero e oliva nera, su una tessitura levigata e finemente setosa.
Il cru San Stunet in località Augenta dista tre minuti d’auto dal villaggio. Qui, dove l’occhio può abbracciare un magnifico panorama a 360° sui vigneti langaroli con l’incantevole borgo arroccato di Neive in primo piano, Giorgio Pelissero ha edificato, passo dopo passo, il suo piccolo impero. I numeri fotografano l’innovativa dinamicità della tenuta: 42 ettari di proprietà in cui vengono coltivate esclusivamente varietà autoctone e una grande sala degustazione in grado di accogliere gruppi numerosi di visitatori. La filosofia è però rimasta saldamente ancorata all’identitario motto “Coltivare sogni, vendemmiare passioni” che sintetizza lo spirito di continua ricerca, sia in vigna che in cantina, e l’incrollabile passione per il nobile lavoro contadino.
GIORGIO PELISSERO
La tensione all’eccellenza traspare fin dall’assaggio del più immediato Barbaresco Nubiola, un assemblaggio di uve provenienti da sei piccoli appezzamenti sparsi nel comprensorio della DOCG che concilia naso e palato con deliziosi profumi di frutta rossa matura ed erbe officinali su un corpo morbido, rotondo e vellutato. Il successivo Barbaresco Tulin ingrana una marcia spiccatamente minerale: l’austero quanto estroverso bouquet varietale – rosa canina, ciliegia rossa, cannella e caffè – è impreziosito da sapide note rugginose che valorizzano il singolare terroir di confine tra Treiso e Neviglie, ricco di ferro, magnesio, fosforo, calcio e potassio.
Il Barbaresco Vanotu strizza invece l’occhio allo stile dei vini di Barbaresco (non a caso il vecchio impianto si distende all’incrocio dei tre comuni) e sfodera una cornice aromatica esplosiva che spazia dai classici sentori fruttati di lampone e amarena a quelli caratteristici del vigneto, come peonia, salvia, timo e camomilla. Il sorso ampio e avvolgente prepara le papille gustative alla degustazione dell’imponente versione Riserva, un caldo e viscoso concentrato di potenza e profondità, capace di arricchire il già poliedrico quadro sensoriale con esuberanti nuances di mirtillo, mentuccia, cioccolato, tabacco dolce e tartufo.